Di Giuliano Maranga
“Quello che succede al prossimo, che sia l’anziano di Olmo che non arriva a fine mese, la famiglia di Ponte San Giovanni che non trova un nido, l’abitante di Kiev o di Gaza sotto le bombe, il migrante che muore in mare, il vicino con cui nella fila al Silvestrini litigo perché ci vogliono sei mesi per una visita specialistica e in qualche maniera è colpa sua, ecco, quel dolore, oggi sembra non riguardarci più.”
Vittoria Ferdinandi
Sicuramente la netta affermazione di Vittoria Ferdinandi è stata e sarà il risultato politicamente e sociologicamente più importante di queste elezioni amministrative e ciò per due motivi.
Il forte messaggio ideologico di Sinistra radicale è vincente
Anzitutto per la modalità decisa e decisionista con cui la Sinistra Radicale a Perugia ha saputo condurre e orientare sia politicamente sia comunicativamente il proprio messaggio. Ferdinandi e i suoi hanno avuto il coraggio politico di impostare una linea che si può ben definire di sinistra radicale o estrema sinistra, inglobando nel proprio progetto strategico “rivoluzionario” i vari Cucinelli, i cosiddetti moderati, i poteri forti della città e altri spezzoni piddini altrimenti destinati ad altri 10 anni di irrilevanza; nel momento di festa a risultati certi, a Piazza 4 Novembre, gli attivisti hanno finalmente ritirato fuori le bandiere del Partito Comunista e rimesso in soffitta quelle logore del PD, che a Perugia ricorda un passato “democristiano” che i militanti vogliono dimenticare, quello di Catiuscia Marini e Maria Rita Lorenzetti. I più anziani ben ricorderanno, in proposito, che per quanto si sia parlato di un comunismo emiliano romagnolo come modello storico e sociale di sinistra italiana, l’autentica fortezza strategica del comunismo della Prima repubblica fu viceversa quella umbra; non è un caso che il Partito Comunista, che lasciò proliferare seppur obtorto collo in Umbria gli spontaneisti antifascisti dell’Autonomia, non abbia mai permesso a quelle BR con leader Mario Moretti, che dichiararono storicamente fallimentare e chiusa la stagione del gappismo e dell’antifascismo in quanto strumento dell’“imperialismo anglosassone”, di mettere piede stabile nella regione, regione che gli sarebbe stata tatticamente fondamentale.
La dinamica dell’Umbria quale mini laboratorio strategico e storico, dagli effetti imprevedibili e imprevisti, dovrebbe essere ben tenuta in considerazione da Vittoria Ferdinandi; abbiamo appena portato l’esempio del Partito Comunista, con Giuseppe D’Alema che aveva a Foligno una sorta di quartier generale, portiamo ora anche l’esempio della marcia su Roma di Benito Mussolini, che avrebbe modificato le sorti del Novecento, partita proprio da Perugia. La vittoria per ora locale di Vittoria Ferdinandi potrebbe così acquisire una rilevanza nazionale e anche oltre, sino a riplasmare e rimodellare una sinistra radicale e rivoluzionaria ad oggi purtroppo a corto di idee e visioni. I moderati del campo largo perugino sono convinti di poter ingabbiare le componenti più radicali dentro la loro prigione neo-democristiana; dubitiamo che ciò possa avvenire e perché in un contesto di generale astensionismo il voto perugino è stato comunque un buon viatico di partecipazione popolare che ha ridato entusiasmo alla sinistra e perché il messaggio della nuova Perugia sembra comunque incarnare la volontà strategica delle più avanguardiste élite anglosassoni/occidentali, da quelle di Davos che considerano la proprietà privata, soprattutto la piccola proprietà privata, un retaggio fascista da annientare, a quelle di Los Angeles o Londra per cui il sesso specifico del nascituro è esso stesso un imprinting da superare e trascendere in una dimensione filosofica postmodernista.
Ben ha colto tali dinamiche lo stesso Fratoianni, molto vicino al futuro sindaco di Perugia, che ha messo coraggiosamente in gioco la Salis, la sua lotta antifascista e strategica alla proprietà privata e alle piccole borghesie reazionarie occidentali. Che sia questo lo spirito del tempo della nuova Sinistra rivoluzionaria, internazionalista e globalista, antipopulista e trasversale, di questo secolo? Di certo la mobilitazione di giovani di cui le cronache umbre hanno parlato in questi giorni, sia per il 25 aprile sia per il Pride, potrebbe essere significativa.
Kaos nichilista o creativo?
Arrivando dunque al secondo motivo per cui questa vittoria della sinistra a Perugia potrebbe essere storicamente rilevante, va ora notato che le stesse componenti movimentiste e spontaneiste che hanno costituito la sostanza liquida del momentaneo trionfo del futuro sindaco potrebbero essere proprio il suo tallone d’Achille. Sintomatico per esempio il recente Umbria Pride, sponsorizzato su tutta la linea dal movimentismo come plastica rappresentazione di ciò che sarà e dovrà essere la nuova Perugia, in cui oltre alle bandiere dei vari movimenti transgender comparivano a poca distanza le une dalle altre le bandiere dell’Ucraina (la cui principale resistenza antirussa non può che rimandare, piaccia o meno, al Battaglione Nazista Azov[1]), della Palestina (la cui principale resistenza, piaccia o no, rimanda al movimento di certo non filo-Lgtbq Hamas) e quelle con il volto di Berlinguer, che sicuramente fece già sua allora la cultura che sarebbe poi divenuta ideologia postmodernista Lgtbq ma che non avrebbe mai sostenuto né l’Azov, né l’Islam politico di Hamas, dell’Hezbollah, degli Houthi yemeniti e dell’Iran. Di conseguenza è assai forte il rischio che a fronte di così grande entusiasmo e aspettative il tutto possa degenerare in un tragico kaos permanente frutto del classico utopismo movimentista e dell’altrettanto tragica e dannosissima illusione basata su un inesistente e fallace modello di antropologia universalista o transumanista così caro a una certa sinistra.
Se un certo kaos ben orientato socialmente da una determinata avanguardia politica internazionalista e trasversalista potrebbe prendere una decisiva direzione storica sul piano della lotta politica anti-populista, antifascista, anti-nazionale, del resto il rischio di precipitare nel puro nichilismo in mancanza di una élite che sappia ben fronteggiare i differenti piani è dietro l’angolo.
Vittoria Ferdinandi ha avuto terreno facile, inoltre, dato a che a destra, se si eccettua il civico Arcudi che ha saputo leggere bene le dinamiche pre-elettorali in atto a livello di territorio perugino, si è mandato alla sbaraglio il pur valido candidato Margherita Scoccia, architetto, assessore all’urbanistica, ex attivista del FUAN, che ha avuto però il grave limite di recitare un copione che le è stato assegnato probabilmente dall’alto, con l’ormai sfibrato berlusconiano “siamo il fare contro l’ideologia”, che detto in un contesto simile, di offensiva ideologica di neo-sinistra radicale e neo-antifascista da parte del movimento di Vittoria Ferdinandi, è parso giustamente sinonimo di debolezza, viltà e arretratezza politica. Al tempo stesso, il merito della Scoccia è stato, mettendoci coraggiosamente del suo almeno da un certo punto, di aver raggiunto comunque il ballottaggio che non era inizialmente previsto dalla sinistra, certa di chiudere già i conti al primo turno.
Se, per ora, questo non è un dato che investe direttamente il Governo Meloni, un’eventuale sconfitta alle prossime regionali umbre inizierebbe a pesare assai di più; anche in questo caso, come si sta verificando a sinistra, tale tendenza potrebbe significare una ulteriore apertura di spazi tattici per il Generale Vannacci, seria alternativa politica a Meloni oggi presente sul campo nazionale, anti postmodernista e populista. Se in questi due anni il capolavoro politico personale di Giorgia Meloni è stato quello di saper portare ENI e LEONARDO dalla sua parte, processo che non era riuscito al governo gialloverde e al Conte I per mancanza di visione e qualità politica e probabilmente, checché si pensi in proposito, nemmeno a Mario Draghi, al tempo stesso il passaggio dal fronte del populismo “controrivoluzionario” a quello sistemico e “neo-democristiano”, se possiamo rispolverare tale dizionario, compiuto dalla leader romana di FdI non potrà durare ancora a lungo, anche alla luce della prossima vittoria del populista jacksoniano americano Donald Trump, che decreterà gradualmente la sconfitta internazionale del campo larghissimo russofobico che è stato egemone in questi anni entro il quale la Meloni, a differenza dello statista magiaro Viktor Orban, ha voluto posizionarsi.
Il vero conflitto strategico interno più avanzato, ben oltre Ucraina o Medio Oriente, è quello interno alle varie società civili occidentali tra il populismo profondo e terragneo della “controrivoluzione” e l’avanguardismo sempre più liquido di élite internazionaliste e ultrarivoluzionarie; non si è spento né si spegnerà; è comunque un dato di fatto che tocca le stesse elezioni amministrative e la stessa politica internazionale ma che potremmo definire epocale e ci riserverà continue sorprese.
[1] Va al riguardo notato che il Perugia Pride è da anni gemellato sia con il Kiev Pride sia con il Kharkiv Pride e che vari attivisti della sinistra umbra proposero dopo il febbraio ’22 di aggiungere la bandiera nazionalista ukraina al classico arcobaleno in opposizione alla linea politica che il “cristianesimo di stato” di Vladimir Putin intese perseguire contro il Kiev Pride o contro quello che a Mosca è definito “terrorismo imperialista e ultranazionalista gender”.