Avevamo scritto qualche settimana fa che, per quanto non fossero da escludere futuri conflitti convenzionali asiatici o nuovi mortali virus (vere e proprie armi di guerra batteriologica) provenienti dalla Cina, piuttosto che una Terza guerra mondiale pensavamo fosse ben più probabile una guerra civile occidentale, a bassa o alta intensità, tra quei due poli culturali, politici, economici che Carl Schmitt definiva come l’eterna Sinistra (rivoluzione mondiale, eguaglianza assoluta forzata, collettivizzazione: Elitismo Woke) e l’eterna Destra (Dio o divino, Nazione, famiglia-popolo proprietario: NazionalPopulismo). Sarebbe forse più corretto usare queste due caratterizzazioni schmittiane per tentare di comprendere gli eventi dei nostri tempi, piuttosto che rappresentazioni del secolo scorso quali fascismo, comunismo o capitalismo. Gli eventi che si stanno verificando proprio in questi giorni in Texas sono la spia evidente che il fenomeno della controrivoluzione trumpiana o dell’Orbanizzazione degli Usa (è stato Donald Trump a definire più volte Viktor Orban il suo esempio di ispirazione politica e il più grande statista contemporaneo) è comunque irreversibile e non si fermerà, al punto che questo secolo, che era dato come il secolo dell’inarrestabile globalizzazione, si potrebbe di contro già considerare il secolo di Trump o di Orban.
La crisi del Texas nasce dall’oggettivo collasso del sistema democratico di gestione dell’immigrazione sotto un aumento di almeno sei volte degli ingressi rispetto agli anni della presidenza Trump. Nonostante l’operazione Lone Star lanciata dal governatore Abbott per ridurre gli accessi, la politica strategica Dem di apertura totale ai flussi – con il probabile fine di incentivare e radicalizzare la rivoluzione mondiale woke egualitarista quale potenza di sostituzione massificata rispetto alla tradizionale comunità cristiana occidentale o americana – ha disvelato così la propria sostanza di autentica élite globalista e non americana, anche antiamericana secondo il MAGA trumpiano. Di conseguenza, Trump ha chiamato alla mobilitazione l’intero popolo americano per la difesa della Costituzione e del Texas, avendo gioco facile nel rivelare come a Biden starebbero ben più a cuore i confini israeliani o quelli ucraini di quelli americani.
Le mobilitazioni dell’autoproclamato “esercito cristiano di Dio”, di milizie dell’estrema destra nazionalista, dei camionisti patrioti o della Repubblica Popolare del Texas sono a nostro modesto avviso eventi del tutto secondari rispetto a un passaggio qualitativo di livello politico della tattica populista trumpiana rispetto agli anni scorsi; in particolare rispetto alle deficienze politiche e comunicative dell’ex presidente nei giorni della Rivoluzione Mondiale da Covid-19, quando fu capace di vanificare politicamente la radicale insurrezione controrivoluzionaria e “anti-lockdown cinese” – una delle più pesanti insurrezioni globali degli ultimi decenni – della piccola e media proprietà urbana o rurale dell’America Profonda, facendo così il gioco dei suoi maggiori nemici, ossia delle frazioni più potenti di CIA, NATO, Pentagono, MI6 e FBI. In questo caso, viceversa, la tattica di Trump si sta mostrando ben più intelligente e prudente di quella del 2020; non si punta affatto alla secessione, come vanno sostenendo anche validi osservatori di casa nostra, ma alla crisi costituzionale, definitiva delegittimazione politica di Dems e Neocons dopo la catastrofica sconfitta sul terreno ucraino, che non significa però, almeno per ora, la netta vittoria di Putin.
Al tempo stesso il Partito Repubblicano del Texas ha issato la “bandiera Gonzales” – con il motto “Come and Take it” –, simbolo dell’indipendenza nazionale e dell’insurrezione quale ulteriore abbocco tattico che con grande intelligenza Trump va lanciando a tutti coloro, dalle parti delle élite militari o finanziarie, intenderebbero bloccarne ancora una volta, con mezzi illeciti e incostituzionali, la altrimenti inevitabile ascesa alla guida della nazione americana. Va quindi confermato, come peraltro già sostenevamo nella conclusione del nostro precedente articolo, che l’Occidente finirà per assumere sempre più connotati di sostanza controrivoluzionaria (per quanto in forma politica sociale e populista e non reazionaria e antirivoluzionaria modello settario Qanon o esercito di Dio), con una probabilissima trasformazione strutturale delle agenzie di intelligenza (come la CIA o i reparti di intelligenza NATO) che sino a oggi sono state le principali nemiche dei nazionalisti “antimperialisti” e populisti americani.
I nazionalisti o populisti americani, sentinelle del Nuovo Occidente convinto di poter superare il tramonto, non a caso, per quanto da noi li si continui a definire con disprezzo “liberisti”, sono della scuola che le allocazioni strategiche delle principali risorse interne e la struttura sociale debbano porre al centro della società civile la piccola e media Proprietà (Small and Mid Cap) quale autentica forza di innovazione sociale. Viceversa, i Democratici hanno strategicamente puntato all’integrazione osmotica del complesso militare, delle grandi multinazionali e delle decisive catene del valore con un socialismo statalistico newdealista quale insostituibile mediatore centrale. In tal senso, il fronte liberal e democratico della Sinistra radicale dei nostri tempi ripropone mutatis mutandis la medesima strategia di comunismo, nazismo, big governement democratico del ‘900: la Dekulakizzazione della vita sociale, lo sterminio totale per mancanza di risorse della proprietà privata di piccola o media dimensione.
Se allora tale strategia era finalizzata alla debellatio delle continue rivolte populiste che fecero la storia novecentesca, oggi il fine – come hanno esplicitamente riconosciuto i grandi ideologi di Davos, per i quali il nemico numero uno è il populista Trump, non è di certo la dirigenza cinese – è fare dell’Occidente una copia del socialismo di mercato cinese con la militarizzazione tecnocratica dell’economia.
Il modello democratico ha in definitiva fallito, non solo perché ha creato ancor più disuguaglianza sociale, distruggendo con il suo elitismo dinastico il cosiddetto sogno americano, ma anche perché, come spiega l’intellettuale di sinistra Rampini, ha distrutto e disintegrato strategicamente l’Autocoscienza nazionale americana e quella occidentale ben più di quanto abbia saputo o potuto fare la Cina “Comunista”1. Non è un caso che, proprio in questi giorni, l’attuale numero uno della CIA, William Burns, in un importantissimo articolo pubblicato proprio su Foreign Affairs, senza mezzi termini dichiara conclusa l’epoca della supremazia strategica statunitense e con lei, di conseguenza, la pratica del big governement della scuola di sinistra radicale internazionalista: il “populista” Trump ha dunque non solo de-sionistizzato, de-europeizzato e ri-nazionalizzato gli States, ma ha finito per riportare al centro delle relazioni internazionali il popolo lavoratore e proletario dell’America Profonda, ben oltre le differenze etno-razziali.
Paiono non a caso polarizzarsi ulteriormente tendenze strategiche che sembrano riguardare ben più la politica interna di quella internazionale; il riferimento è alla storica intervista compiuta in questi giorni dal trumpiano Carlson a Mosca al presidente russo Putin, o al sostegno più o meno esplicito dato in questi anni da Musk, con i suoi sistemi, ben più all’esercito russo che a quello ucraino, come avrebbe invece desiderato il Pentagono, auto-delegittimatosi poi con la stessa oscura vicenda Austin.
Se dunque la destra nazionale americana continua a vedere nella Russia un positivo modello di nazionalismo cristiano occidentale che continua l’ideologia panrussa di Solzenicyn, ben più che un alleato eurasiano del Partito Comunista cinese, per la cultura di sinistra radicalista Woke americana, che è di fatto egemone tra le élite liberal e democratiche, l’esperimento neo-socialista a-proprietario cinese (modello Davos 2030, per cui la proprietà privata sarà “cosa insostenibile”) è l’avanguardia di ciò che un giorno dovranno per forza essere gli stessi Stati Uniti. La guerra civile interna americana è per ora a bassa intensità; importante capire ciò che sarà del nazionalismo cristiano americano o del trumpismo dopo Trump.
Sbagliano profondamente così, coloro che pensano che uccidendo Trump, o impedendogli di partecipare alle elezioni, si possa risolvere una volta per tutte la questione con la Real America; la marcia controrivoluzionaria americana del lavoro autonomo e proletario è ormai a tutti gli effetti un’ondata profonda della storia sociale, prima che politica o ideologica, sempre più simile alle rivolte anti-giacobine dell’800 e a quelle populiste anti-collettiviste del ‘900.
1(cfr. F. Rampini, Le crisi aperte e gli alleati di Putin, “Corriere della Sera”, p. 26).