Di: Andrea Leandro Giumetti
Soft power, imperialismo e dominio dei mari: come Atene distrusse la Grecia antica
Nella storia nulla torna mai esattamente identico a come si è verificato una prima volta, ma questo non esclude che avvenimenti avvenuti in un lontano passato non possano presentare similitudini con la realtà che prende forma sulla carta geografica. Ecco allora che attraverso lo studio del passato si può maturare una certa esperienza che risulta utile anche per capire il presente, e perfino formulare qualche tiepida e astratta previsione per il futuro.
Pensiamo ad esempio alla talassocrazia, una parola che significa “dominio del mare”, che viene coniata per descrivere la peculiare forma di potere che la poleis di Atene si trovò ad esercitare nei confronti delle altre città-stato greche durante i settantatré anni intercorsi tra la Seconda guerra persiana e l’inizio delle Guerre del Peoloponneso. Tale stato di fatto venne a crearsi per l’appunto, all’indomani di quel conflitto devastante che fu la Seconda guerra persiana, una lotta tra l’Impero persiano, che dall’Asia si stava dirigendo verso il Mediterraneo, e le città stato greche: Atene, a differenza di altre città, aveva dirottato la sua attività verso il potenziamento dell’attività mercantile marittima, inclusa una forza di navi da guerra e la costruzione di un porto ed un arsenale fortificato. Questa marina militare si era rivelata un’arma bellica vincente durante il conflitto, e al termine di questo si dimostrò uno strumento di potenza egualmente efficiente, consentendo alla città stato di proiettare efficacemente la propria forza militare e il proprio peso diplomatico in tutto il mare Egeo: sebbene avessero vinto la guerra, il dispendio di risorse e vite umane si era rivelato enorme, e la presenza di città con importanti partiti filo-persiani (ricordiamo che anche se la Democrazia era in vigore solo ad Atene, sostanzialmente tutte le città-stato della Grecia possedevano un qualche tipo di governo collegiale) generò una forma di fobia e paranoia nei confronti dei persiani che gli ateniesi furono rapidissimi nello sfruttare a loro vantaggio. Adoperando uno strumento di soft power, in continuità con le alleanze della guerra, venne costituita una lega federale (situata sull’isola di Delo) che coinvolgeva molte città portuali in un blocco anti-persiano in grado di neutralizzare sul nascere la capacità dell’impero di organizzare un’invasione, e contemporaneamente di organizzare operazioni militari di riconquista e di supporto ai gruppi rivoltosi anti-persiani delle città “greche” che ancora si trovavano sotto il dominio del Gran re. Ai partecipanti alla lega di Delo veniva chiesto di sottostare parte della propria politica estera a quanto deciso dai magistrati della lega, e di fornire un contributo alla difesa comune sotto forma di corpi militari, navi oppure una tassa in denaro, da depositare in un tesoro comune. Questo meccanismo sovranazionale funzionò, e diede buoni risultati per alcuni anni, ma ben presto gli ateniesi riuscirono a imporsi quale principale potenza economica e militare dell’alleanza, arrivando persino a basare lo splendore e il corretto funzionamento della città di Atene sui tributi versati nel tesoro della lega, utilizzati arbitrariamente. Con lo spostamento del baricentro di potere verso Atene gli interessi strategici e politici della poleis attica assunsero un ruolo centrale nell’attività militare della lega, laddove una combinazione di minacce e lusinghe spalleggiate dalla supremazia militare e politica veniva adoperata per tutelarne gli interessi economici a danno delle poleis più piccole, che si trovavano inevitabilmente travolte dal vortice, incapaci di far valere a pieno sia la propria sovranità di città stato, sia la propria voce quali membri dell’alleanza. Passarono gli anni, e nonostante ripetute aggressioni e provocazioni ai danni dell’Impero persiano, questo si limitava a difendere le proprie coste, contrastando la pirateria e riconquistando puntualmente quelle città sulla costa della (odierna) Turchia che erano più o meno greche come identità, ma allo stesso modo si trovavano in continuità con lo spazio geografico terrestre dell’impero. I persiani in effetti preferirono piuttosto espandere la propria influenza verso la costa africana, limitandosi, nei confronti delle città greche (nel senso di locate in Grecia), ad allacciare occasionali relazioni diplomatiche ed economiche: una guerra offensiva contro il formidabile dispositivo navale della lega non sembrava desiderabile, inoltre i persiani si accorsero che in effetti nelle città in cui la lega “esportava la libertà” molto presto cresceva il malcontento per via della pesante tassazione e dei vincoli commerciali che Atene imponeva. Di fronte alla passività offensiva delle armate persiane, e al malcontento nelle città anatoliche liberate, la Lega di Delo vedeva indebolita la sua ragione di essere, e conseguentemente le attività di Atene perdevano la giustificazione della difesa comune, qualificandosi invece unicamente come imperialismo; ma il sistema di potere talassocratico ormai era necessario alla città attica per sopravvivere e pertanto, agli occhi dei politici ateniesi, la continuità dell’alleanza andava difesa a tutti i costi. Ad Atene serviva una nuova nemesi mortale, un nuovo pericolo esterno che compattasse l’opinione pubblica e gli alleati della lega, magari unendoli in un grande “sogno” che aizzasse le fantasie di potenza e riscossa dei greci: l’alleanza militaristica di Sparta, la lega del Peloponneso, soddisfava tutti questi requisiti. Travolgere Sparta avrebbe garantito un immenso prestigio militare, rovesciato un modello di società diverso da quello della democrazia ateniese e soprattutto costituito il primo passo verso un dominio “imperiale” su tutta la Grecia. Il conflitto tra Sparta e Atene, noto come le Guerre del Peloponneso (la regione in cui sorge Sparta), iniziato da Atene con l’aggressione militare di Siracusa, aprì una stagione di distruzione, morte e impoverimento che travolse tutte le città Greche, spazzando via buona parte della prosperità e della vitalità culturale che le aveva caratterizzate fino a quel momento. Le perdite umane e materiali furono così alte che perfino gli Spartani, che riuscirono ad emergere vincitori, subirono un repentino declino, e sia la Lega attica che quella del Peloponneso non sopravvissero alla guerra. Con la Grecia dissanguata ed impoverita, nessuno si oppose ai mercanti persiani che occuparono le tratte commerciali precedentemente monopolizzate dalla Lega di Delo, e agli ambasciatori e i politici legati ai persiani, che si inserirono all’interno della politica delle città greche dietro lauti pagamenti in oro.
I persiani, tuttavia, non estesero un vero e proprio dominio assoluto sulle città greche, limitandosi ad affermare il proprio predominio simbolico attraverso la riscossione di tributi occasionali e lasciando grande autonomia politica e sociale alle poleis. Affinché potesse esserci una rinascita dello spirito greco, ma soprattutto una riscossa dell’occidente, sarebbe servito un gigante della storia come Alessandro il macedone, il quale però fu ben lesto ad apprendere quelle pratiche di dominio propriamente “orientali”, come ad esempio il multiculturalismo e l’autonomia locale, che non possono davvero prescindere ad un dominio imperiale genuino e duraturo.