È stato proiettato venerdì 29 marzo al cinema Sala Pegasus Soyalism, l’ultimo docu-film dei registi Stefano Liberti & Enrico Parenti. Su invito del Co-working di Spoleto era presente in sala il regista che ha concesso una breve intervista all’Associazione Aurora.
In un mondo sempre più sovrappopolato e in preda ai cambiamenti climatici, il controllo della produzione dei beni alimentari è diventato un enorme business per una manciata di poche gigantesche aziende. Seguendo la filiera di produzione industriale della carne di maiale, dalla Cina al Brasile passando per Stati Uniti e Mozambico, il documentario descrive l’enorme movimento di concentrazione di potere nelle mani di queste ditte, che sta mettendo fuori mercato centinaia di migliaia di piccoli produttori e trasformando in modo permanente paesaggi interi. A partire dai mega-allevamenti intensivi in Cina fino alla foresta amazzonica minacciata dalle coltivazioni di soia sviluppate per nutrire animali confinati in capannoni dall’altra parte del mondo, questo processo sta pregiudicando gli equilibri sociali e ambientali del pianeta.
Perché un film su questi temi in questo preciso momento storico?
È un percorso lungo, rincorso da anni, che ha avuto come tematica centrale la globalizzazione alimentare. Abbiamo deciso alla fine di questo percorso di concentrarci sulla filiera del maiale perché rappresenta in qualche modo tutte le grandi contraddizioni: c’è un’interessante interconnessione tra tutti i grandi attori.
E poi il maiale è, in qualche modo, un animale a cui l’essere umano è strettamente legato, non solo per motivi culturali ma anche biologici.
Sì, il maiale infatti è molto simile all’essere umano. Abbiamo anche molte ore di girato su altri animali, altre tipologie di allevamenti, ma in fondo il maiale, personalmente, mi affascina molto: è molto intelligente e il fatto che lo si riduca ad un fornitore di materia prima (la carne) è una cosa terribile e scandalosa, sia dal punto di vista morale che economico. Il tutto in un sistema atto a produrre tanto, ad un costo sempre minore, con un unico fine: il guadagno.
Il problema centrale non è dunque solamente l’alimentazione. Soyalism fa rima con Capitalism?
Il titolo è provocatorio, ironico e sottende l’idea che il Soyalism è il nuovo sistema agroindustriale, agro-capitalistico. Il problema centrale rimane questo e i proventi sono a discapito dell’ambiente e della pelle delle persone.
Ammettiamo, per assurdo, che il sistema non fosse lesivo per l’ambiente: rimarrebbe comunque centrale il tema dei consumatori che, non potendosi permettere cibo di ottima qualità (come il biologico), sono costretti ad acquistare il cibo a basso prezzo prodotto dalla grande industria agroalimentare.
È un circolo vizioso: il cibo viene prodotto sempre a prezzi più bassi e il consumatore, non potendosi permettere altro, è costretto in qualche modo a comprarlo.
Questo film, effettivamente, mostra che non è questa “la globalizzazione che funziona” e che forse il progetto del mercato globale è stato un grande fallimento sotto ogni punto di vista.
Intanto le risorse non sono esauribili. E poi, con l’apertura del mercato (al contrario di quanto hanno sostenuto molti teorici) c’è stata un’erosione dei diritti nei paesi dove i lavoratori erano riusciti a conquistarli. E li stiamo vivendo noi stessi, oggi, sulla nostra pelle.
TTIP, CETA, vincoli europei sulle produzioni alimentari. Gli stati come si stanno comportando?
Gli stati nazionali hanno abdicato al loro ruolo di controllori e di regolamentatori di varie cose – tra cui anche del sistema agroalimentare – cedendo a tutti gli effetti sovranità a istanze multinazionali e sovranazionali che fanno il loro mestiere: quello di moltiplicare i loro profitti. I grandi accordi di libero scambio degli ultimi anni sono degli accordi che prevedono che gli stati abbiamo meno voce in capitolo e siano in qualche modo sottomessi a tribunali arbitrari che acquisiscono sempre maggiore potere. Io credo che lo Stato debba riappropriarsi delle proprie prerogative e la politica lo dovrebbe fare. Io non sono contrario al commercio né tanto meno a favore dell’autarchia: il commerciò c’è sempre stato però devono essere istanze pubbliche a regolamentarlo, anche perché il cibo è anche qualcosa di particolarmente strategico. La mano invisibile del liberismo non è mai esistita, o meglio ha curato gli interessi delle multinazionali.
È molto interessante la frase di un contadino brasiliano che, nel film dice: “il mercato ci tiene fuori, noi non possiamo neanche pensare di entrare a farne parte”.
In Brasile un contadino deve avere almeno 10.000 ettari per vendere e per competere: al di sotto di questa soglia è come se non esistesse. L’agricoltura, in questi luoghi, è industrializzata e ciò che è più interessante è che il contadino sta scomparendo: distese e distese di mais e non c’è nessuno. C’è stato un forte cambiamento sociale. Tale tentativo da parte delle grandi lobbies agroalimentari non è invece attecchito in Mozambico grazie alle rivendicazioni popolari in contrasto al progetto Pro-Savana.
E dunque quali possono essere le probabili soluzioni? Chi e come può muoversi per tentare di migliorare tale sistema?
L’imperativo è l’informazione: sarebbe giusto avere informazioni sul prodotto. Dal momento che sono informato posso attuare un consumo consapevole. Ora l’unica vera informazione che si ha al supermercato è il prezzo di vendita. Inoltre sarebbe giusto ritornare ad un consumo “normale” della carne, un po’ come facevano i nostri nonni. La carne era anche più buona mentre ora, provenendo dalla grande produzione, sia essa di pollo, di vitello o di maiale, ha sempre lo stesso sapore: quello della soia.
Queste sono le soluzioni. Ma come andrà secondo te la storia? Io rimango molto pessimista…
Io non tanto. Necessariamente verrà superato il modello dell’allevamento intensivo semplicemente perché ad un certo punto per gioco-forza concluderanno le risorse. Il problema sarà comprendere a quel punto il problema ambientale… e già siamo molto in ritardo!