Va in scena, fino a domenica 3 novembre, al teatro Morlacchi di Perugia lo spettacolo che ha già riscosso un grandissimo successo allo scorso Festival di Spoleto.
“La vita si può capire solo all’indietro, ma si vive in avanti.”
SØREN KIERKEGAARD
Dopo essere stato acclamato in tutta Italia approda a Perugia, ad inaugurare la stagione 2019/2020 – nonché lo storico teatro perugino, rimodernato strutturalmente durante la scorsa estate – lo spettacolo di Lucia Calamaro, andato in scena nella prima assoluta al teatro San Ferdinando di Napoli nel luglio del 2018. Padrone assoluto della scena è l’eclettico attore napoletano Silvio Orlando.
Il protagonista Silvio (il personaggio sembra essere stato cucito addosso all’attore partenopeo) è un vedovo di sessant’anni che si trova a trascorrere la sua rimanente vita in compagnia solamente di sé stesso, in ritiro forzato nella campagna più isolata lontano da tutto e tutti.
In occasione del suo sessantunesimo compleanno, nonché del decimo anniversario della morte della moglie, i figli Riccardo, Maria Laura ed Alice, in compagnia dello zio Roberto, decidono di passare con lui qualche giorno, con la speranza di farlo rinsavire e scappare dal “mondo della solitudine” dal quale sembra essere stato ormai irrimediabilmente fagocitato.
Tra speculazioni filosofiche, citazioni letterarie, rimandi artistici di ogni tipo, la tanto cerebrale messa in scena coinvolge e stravolge lo spettatore che, senza volerlo, si ritrova a misurarsi con il tema della solitudine, della pazzia e soprattutto della condivisione, colei che il protagonista Silvio ha deciso di rimuovere dalla sua esistenza.
L’essere umano contemporaneo, come una monade di leibniziana memoria, sembra ritrovarsi nei panni di Silvio nella solitudine più totale, in partenza verso un viaggio che ha come unica meta la fine di tutto, in stasi atarassica verso l’improrogabile morte: tutto ciò che gli è permesso è ragionare (a volta quasi sragionare) perdendo progressivamente il contatto da tutto (persino dalla lettura, che ormai sembra essere tutta ugualmente noiosa).
Una volta eliminati i contatti umani, i legami lavorativi, amicali e familiari (“mi chiedo se ci sia un’età in cui si smette di essere figli o padri: non riesco proprio a capire come si faccia ad essere padre di figli adulti.” Silvio) rimane un’unica possibilità di contatto con la vita – o meglio con il vissuto: la memoria. Essa “come l’orizzonte e il desiderio attende in lontananza senza mai poter essere raggiunta”.
Uno squarcio della crisi dell’uomo contemporaneo, strettamente in linea alla geniale produzione teatrale e filmografica della cultura meridionale: nell’opera infatti si leggono riferimenti all’opera di Eduardo, ma anche – soprattutto nel finale – a “Stanno tutti bene” di Tornatore e alla pellicola di Mario Martone “Morte di un matematico napoletano”.
Un’opera complessa e intellettuale, che sembra essere solamente il primo atto di una vera e propria ricerca: infatti – ai fini del superamento di una crisi – il primo passo deve esserne senza ombra di dubbio il riconoscimento, la comprensione della stessa.
Il secondo passo, quello decisivo, sta invece nell’azione e mira al superamento e alla rottura con le dinamiche contemporanee che hanno portato l’essere umano a scegliere la sopravvivenza alla vita vissuta, la stasi all’azione, la caverna alla luce del sole… ma questa è tutta un’altra storia.
Prossimi appuntamenti:
- 4 novembre: GUBBIO
- 5 novembre: TODI