Come se ai suoi occhi fosse improvvisamente apparsa una visione, Gandalf trasalì: si voltò a guardare verso nord, dove i cieli erano limpidi e pallidi. Poi alzò le mani e gridò con voce possente che sovrastava ogni altro rumore: “Arrivano le Aquile!” E molte voci gli risposero gridando “Arrivano le Aquile! Arrivano le Aquile!”
Gli eserciti di Mordor levarono gli occhi, domandandosi che cosa significasse.
L’Aquila, “il re degli uccelli”: simbolo di forza, regalità, potenza e gloria militare. Dagli antichi babilonesi fino ai giorni nostri, desta in noi sentori di tempi passati ed emozioni che appartengono ad ere del mondo lontane e tuttavia ancora presenti. Essa travalica i secoli; sorvola fiera sulle vite degli uomini ed osserva quel che questi faranno. La nobiltà che naturalmente appartiene a tale splendida bestia ammaliò persino Zeus, il dio olimpico per eccellenza, che la considerava sacra. Rappresenta quindi un carattere olimpico (ellenico e poi romano) ed eroico.
Nel mondo classico si credeva che l’Aquila fosse l’unico animale in grado di volare nel cielo senza abbassare gli occhi di fronte alla forza immensa della luce del Sole ed era capace di portare con sé l’anima degli imperatori, che trapassando, giungevano allo stato di “divino” proprio grazie a quest’ultimo volo. Così accadde per il grande imperatore Augusto, il quale si spense a Nola, luogo a lui molto caro, il 19 agosto del 14 d.C.
I sacerdoti presero posto nel Campo di Marte, il corpo dell’Imperatore fu posto all’interno di una bara ornata di porpora, trasportata da una lettiga costituita da oro ed avorio; questa venne in seguito adagiata su una pira; dalle ceneri s’innalzò in volo una splendida Aquila: il Divo Augusto prendeva posto tra gli dèi.
Il rito funebre che accompagnava l’ultimo viaggio terreno dell’Imperatore non si concludeva tuttavia col volo dell’Aquila (che di per sé già garantiva una forza significativa non indifferente) ma si svolgeva un ulteriore passaggio chiamato decursio. Cavalli, truppe e capi correvano attorno alla pira dell’Imperatore, lanciandovi sopra ricompense ricevute per il loro valore. Essi restituivano all’Imperatore ricompense che si erano guadagnanti con sacrificio e onore in battaglia rimettendole a colui che in senso “olimpico” aveva concesso loro di ottenerle poiché in esso stesso vi era Vittoria. Il capo, il dux, l’Imperatore conteneva in sé stesso la Vittoria. Ne era origine.
Infatti, era credenza romana che nella figura stessa del capo, in senso di elemento soprannaturale, risiedesse la Vittoria.
Colui su cui l’Aquila si posa, è predestinato da Zeus a grandi cose, alla regalità. L’Aquila è portatrice di Vittoria e la Vittoria degli uomini dal carattere “olimpico” e specificatamente romano, è riflesso della Vittoria dello stesso Zeus o Giove. Inizialmente, nella Roma Repubblicana, l’insegna dell’aquila con una folgore fra gli artigli (come a voler sottolineare lo stretto legame con Giove, che utilizzando proprio i fulmini e la folgore spazzò via i Titani -simbolo fortemente antiolimpico e barbarico) rappresentava le legioni.
Nel “De Bello Gallico” di Cesare e anche nelle “Historie” di Tacito è infatti riportata questa frase assai significativa: un’aquila per legione e nessuna legione senz’aquila.
Nessuna legione senza Giove, nessuna legione senza Vittoria.
Le insegne delle truppe barbariche non raffiguravano mai l’aquila: nei signa auxiliarium utilizzavano infatti simbologie legate ad altri animali sacri o “totemici” come il toro e l’ariete. Più tardi, le legioni romane assunsero “secondi animali” che rappresentavano caratteristiche specifiche di una data legione. L’Aquila ormai non si limitava a segnalare il comparto militare dell’Urbe, ma Roma stessa, l’Imperium.
Nel corso dei secoli è stata adottata poi da altri popoli, imperi, stati e regni. Dopo il grande amore romano, l’aquila trasmigrò verso i popoli germanici. Per molto tempo quasi si confuse la sua origine, tanto da crederlo un simbolo essenzialmente nordico (comunque molto presente nella mitologia nordica).
Carlo Magno, nell’800, accompagnò l’edificazione del nuovo impero assumendo l’aquila romana come simbolo. Più avanti l’Impero Austriaco (erede del Sacro Romano Impero) e poi la Germania nazista conservarono questo stesso animale, quella stessa insegna, dimenticando a chi davvero appartenesse. Persino gli Stati Uniti d’America, che a tavolino decisero il simbolo del proprio Stato, adottarono l’aquila (seppur testa calva) con l’intenzione di rifarsi ai fasti delle glorie militari romane.
L’Aquila romana non si è mai estinta così come la sua incredibile simbologia. Assunse in seguito un valore puramente araldico e la sua significanza morale nonché simbolica originaria e più profonda, fu dimenticata.
In virtù di tale riscoperta, occorrerebbe quindi prendere di nuovo possesso di questa simbologia eroica e di Luce, frapponendola alle tenebre barbariche ed antiolimpiche, reclamando un superiore diritto d’ordine e di dominio.
Le orde di Mordor sentirono le grida gioiose degli eserciti della Terra di Mezzo pronunciare: “Arrivano le Aquile!” ed essi levarono lo sguardo domandandosi che cosa significasse: significava Vittoria.