Di: Cristina Gregori
La musica ha sempre ricoperto per l’essere umano un ruolo essenziale in quanto cura dell’anima e parte integrante della cultura di un popolo. La scienza stessa dell’antropologia, attraverso lo studio delle mitologie e dei riti dei popoli, ha affermato in maniera decisiva che non esiste convivenza umana che abbia ignorato la musica, considerata da molte popolazioni un dono degli dei. Questa ipotesi della divinizzazione del suono (manifestazione della voce divina) è convalidata dal fatto che i cantori e i sacerdoti, ritenuti degli esseri di natura superiore in virtù del loro rapporto privilegiato con il trascendentale, erano abili conoscitori delle leggi arcane della materia sonora. Nella civiltà dell’antica Grecia, come similmente in Egitto, la musica aveva difatti una forte impronta religiosa (Dioniso ha sempre con sé il suo caratteristico “aulos”, le Muse sono raffigurate sempre con uno strumento musicale nell’arte vascolare) ed era al servizio delle funzioni non solo rituali ma anche educative. Platone infatti scriveva della musica come uno dei mezzi principe dello stato per l’educazione dei giovani e come una forma di arte (una delle poche non totalmente demonizzate dal filosofo) che, sublimata, era strettamente connessa alla filosofia, quasi fino ad essere con essa un tutt’uno. Aristotele invece parlava del ruolo catartico della musica, strumento di liberazione dell’animo umano dalle oppressioni e dagli affanni che lo sconvolgono. In Grecia infatti il linguaggio musicale era pensato e definito secondo gli effetti che ogni suono produceva sull’animo umano.
Sin dalla nascita della civiltà produttrice di cultura e pensiero quindi la musica ha impregnato la vita di ogni cittadino, ritagliandosi uno spazio importante.
Questa della religiosità dell’arte musicale è una concezione che nel corso dei secoli e dei millenni, trasmessa da civiltà a civiltà, è arrivata fino al Medioevo, dove i canti salmodici e gli inni prima e i mottetti e le messe poi, hanno dato un continuum a questa visione sacra della musica. Infatti i primi e importanti trattatisti ad aver scritto di teoria musicale sono stati tutti uomini di chiesa, molti dei quali intimi dei vari papi, ad esempio Guido d’Arezzo, Pierluigi da Palestrina, Andrea e Giovanni Gabrieli e così via. Sebbene in queste epoche siano nate anche forme musicali profane, la musica sacra ha sempre visto l’impiego più importante delle energie dei compositori, anche per la maggiore influenza che la chiesa esercitava allora sulla cultura e la società.
Ciò che interessa rimarcare però è la rilevanza e l’altissima considerazione sociale che tutti, dagli uomini dell’alto potere clericale ai rappresentanti delle più antiche nobiltà, attribuivano ai compositori. Non era insolito infatti, da epoche anche precedenti al 1300 fino al 1800, trovare eminenze del campo musicale che servivano come compositori e precettori fra le mura di potenti famiglie. Avere la figura del musicista dentro la propria casa quindi era garanzia di lustro e importanza e assistere a concerti di musica classica era come osservare un miracolo artistico che si compiva nel religioso silenzio dei teatri. Questa concezione, dalle sacre e antiche radici, rimase invariata nel corso dei secoli e, sebbene nel corso della storia la musica e le sue forme cambiassero insieme a tutto il resto dell’arte e della cultura, i musicisti sono sempre rimasti nell’immaginario collettivo come degli intermediari tra il trascendentale e il materiale, capaci di trasportare lo spettatore in una dimensione più alta, similmente ai sacerdoti delle antiche tribù pagane. J.S. Bach è l’emblema di questa visione: un uomo credente fino alla negazione della sua stessa persona, il cui il fine era di lasciare parlare solo la musica che, a suo dire, proveniva direttamente da Dio, il quale usava il suo corpo e le sue capacità come semplici mezzi per arrivare all’uomo e trasportarlo verso il divino (le “stelle” di cui parlerà Chopin). Come Bach, anche Mozart fu considerato già dai suoi contemporanei come un essere dalle doti superiori, un vero dio della musica il cui genio culminò nel famosissimo “Requiem”. Beethoven, nonostante la sua sordità, cambiò profondamente il panorama musicale e fu intimo amico dei più importanti aristocratici austriaci dell’epoca. Andando avanti nella storia della musica si possono annoverare molti compositori che hanno avuto una vita molto vicina a quella di Beethoven o Mozart e hanno goduto di simile fama e prestigio: Mendelssohn, Chopin (noto come il poeta del pianoforte), Schumann, e più avanti Strauss, Debussy, Wagner (il più grande compositore di opere mai esistito) e così via. Arriviamo così al XX secolo, il secolo delle grandi guerre, che ha visto la non poi così graduale dissoluzione del sistema armonico-tonale, usato fino ad allora per secoli, e l’approdo al sistema dodecafonico (o cacofonico?) e ad una musica eccessivamente intellettualizzata e di arduo ascolto come quella di Schoenberg. Rimasero ancora gli ultimi spasmi di un modo di fare musica considerato “vecchio” e non all’avanguardia, che vennero presto soppiantati nel panorama musicale mondiale dalla nascente musica jazz, dal musical e dalla controversa musica popolare detta anche musica leggera o pop. La musica ha subito quindi, da una parte, un vero e proprio “smembramento ordinato” da parte degli ultimi compositori e dall’altra un cambiamento radicale. Insieme alla musica, conseguentemente a questa repentina eliminazione di tutto ciò che era antico e tradizionale, è cambiata anche la figura del musicista che è diventata un’eccezione destinata a rimanere in secondo piano per lasciare lo spazio alla figura del “cantante” e dell’idolo da poster.
Ma cosa è successo nell’arco di appena 50 anni?
Il XX secolo non è stato semplicemente il secolo delle guerre ma, come tutti sappiamo, il secolo dei totalitarismi. L’esperienza dei regimi totalitari, che non sono stati delle tirannie ma molto di più, ha posto il problema di prendere le distanze il più possibile da questi sistemi politici appena essi sono crollati e falliti insieme a tutto quello che rappresentavano. E’ stato così che molta della cultura e dei pensieri che erano stati strumentalizzati da questi regimi sono stati condannati ad una sorta di damnatio memoriae nel peggiore dei casi, ad una distorsione nel migliore. Così nell’immaginario comune Wagner, da grandissimo compositore, è diventato sinonimo di “SS” e campi di concentramento, Platone, da filosofo dell’idealismo, è diventato il “Platone totalitario” di Popper e Nietzsche, da filosofo nichilista, si è trasformato nel teorico dell’ideologia nazista.
Questa profonda crisi non solo ha inferto al mondo quindi il duro colpo delle perdite umane ma ha anche causato un vuoto filosofico e ideologico profondo, lasciando l’umanità persa in un’assenza di valori, principi, tradizioni di pensiero ed educazione e in una sconvolgente incertezza. La società è diventata quindi “liquida”, per usare le parole del filosofo polacco Zygmunt Bauman. Confrontarsi con una “cultura liquida” significa non solo vivere in una società dove l’apparenza e la forma troneggiano sul significato e la sostanza, ma significa anche vivere in un mondo dove la cultura non ha più il naturale ruolo originario e millenario di educare e tracciare una via di sani valori. Infatti il ruolo della cultura è diventato quello di sedurre, proponendo merce e creando continui e tirannici bisogni, seguendo un principio freudiano di desiderio dove vige l’infantile legge del “tutto e subito”, e dove l’etica e la morale non trovano posto insieme al relativismo esistenziale (ai limiti del nichilismo), figlio di una profonda crisi della coscienza individuale che domina il mondo da allora.
Oggi più che mai sappiamo quanto metta paura vivere in un mondo pieno di incertezze e basta avere un po’ di spirito di osservazione e di autoanalisi per comprendere quanto sia rassicurante fissarsi sulla superficie controllabile (apparentemente) della realtà, andando sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo (la “merce” di cui parla Bauman) che ci faccia stare bene, anche se, aimè, solo momentaneamente. Grazie a questo modo di pensare sempre più diffuso, il concetto di “merce” ha ricoperto totalmente anche aspetti prettamente e unicamente umani come i sentimenti e l’arte. Le leggi della società oggi ci danno l’illusione che il denaro può comprare tutto: dalla Ferrari all’amore di un partner. Le opere d’arte battute all’asta per centinaia di milioni di dollari vengono acquistate per il loro valore di mercato, come investimenti, non per il loro valore artistico.
Come per l’arte e i sentimenti, anche la musica non è stata graziata. Esclusi pochi eroi che hanno tentato di dare una dignità e un’anima alla musica leggera, a volte contaminandola volentieri con elementi di classica o jazz/blues (per esempio Franco Battiato, Angelo Branduardi, Pino Daniele, Zucchero e così via), il resto del panorama musicale è costellato di miriadi di giovani e piacenti cantanti che vengono sfruttati dalle case discografiche fino allo stremo e gettati poi senza pietà nel dimenticatoio come scarpe vecchie. Abbiamo quindi nuova e continua carne da macello che ogni anno si rinnova e poi, esaurite le scorte, viene messa da parte e sostituita. Le canzoni non sono di spessore maggiore e la ricetta è sempre la stessa: motivetti orecchiabili, un testo non per forza ricco di senso, il tutto sommato a una spietata campagna di marketing su radio, tv e social. La regola è comunque quella di proporre qualcosa di sempre meno impegnativo, che non crei pensiero e confronto, per stare al passo con una società rutilante dove il piacere di soddisfare i propri bisogni e desideri prevale sulla riflessione. Gli artisti vengono dimenticati insieme alle loro canzoni e a distanza di pochissimi anni nessuno ricorda nemmeno più i loro nomi. Siamo molto lontani dall’artista come mediatore con il sacro, dalla musica che attraversa non i decenni ma i secoli. Siamo distanti dalla dignità stessa dell’uomo e da tutto ciò che lo rende tale. Credo che dovremmo sforzarci tutti di salvare l’arte e la bellezza.
“Bach è un astronomo che ha scoperto le stelle più belle. Beethoven si misura con l’universo. Io cerco solo di esprimere il cuore e l’anima dell’uomo.”
Fryderyk Chopin