MATER TENEBRARUM
MATER TENEBRARUM

MATER TENEBRARUM

Di Paolo Mathlouthi

Il passaggio di testimone tra il vecchio ed il nuovo anno si è svolto all’insegna dell’Horror. Se nel periodo a ridosso delle festività natalizie Adelphi ha portato in libreria due piccoli ma preziosi capolavori del genere meritoriamente strappati alle ingiurie dell’oblio come Attraverso la notte di William Milligan Sloane – meccanismo narrativo perfettamente cesellato dove l’elemento weird, ovvero perturbante, è legato al tema delle intelligenze aliene – ed Elizabeth di Ken Greenhall – che nel solco di Arthur Miller rilegge il topos dell’iniziazione alla stregoneria, così caro all’immaginario simbolico calvinista, con più di qualche strizzatina d’occhio alla Lolita di Vladimir Nabokov –, la sera di San Silvestro ha visto approdare nelle sale cinematografiche europee la sontuosa versione di Nosferatu a firma di Robert Eggers.

Reduce dal successo di The Northman, film con il quale nella primavera del 2022 ha allestito sullo schermo una rivisitazione oltremodo cupa e tenebrosa della vicenda di Amleto, così come viene narrata nella sua accezione originaria dal Sassone Grammatico nelle Gesta Danorum, che sono servite da spunto a William Shakespeare, con tanto di confraternita di guerrieri berserker e walkirie al galoppo, il talentuoso regista statunitense si misura ora con Nosferatu, un classico del cinema espressionista tedesco che, liberamente ispirato al capolavoro di Bram Stoker, vanta due precedenti adattamenti d’eccezione: quello di Friedrich Wilhelm Murnau del 1922 e quello, più accessibile al pubblico moderno perché parlato e a colori, realizzato da Werner Herzog nel 1979, dove Klaus Kinski presta il proprio iconico volto al sulfureo Conte Orlock per affondare le zanne (beato lui!) nel collo di una meravigliosa Isabelle Adjani.

Non vale la pena di soffermarsi più dello stretto necessario sulla complicata diatriba editoriale e giudiziaria che è all’origine di questo particolarissimo filone del vampirismo cinematografico perché certamente nota ai lettori anche grazie al bel film L’ombra del vampiro, nel quale Edmund Elias Merhige ha ricostruito con piglio romanzesco e fantasioso i retroscena, non meno inquietanti, di questa faccenda maledettamente intricata. Non avendo ottenuto dall’editore scozzese Archibald Constable la liberatoria necessaria alla realizzazione di una riduzione per le sale, Murnau è stato costretto a modificare in fase di lavorazione ambientazioni e nomi dei personaggi per non incorrere in vertenze legali. Scrupolo rivelatosi poi vano in quanto nel 1925 la vedova di Bram Stoker, Florence Balcombe, trascina in tribunale il regista con l’accusa di plagio, ottenendo perfino che le copie del film disponibili sul mercato vengano distrutte. Tutte tranne una, conservata presso l’archivio della Sargent’s Trusts di New York e quindi scampata alla furia iconoclasta dei voraci eredi dello scrittore irlandese. Quello che maggiormente preme rilevare in questa sede sono semmai gli elementi di novità sul piano dei contenuti che Robert Eggers, fatto salvo il doveroso omaggio stilistico agli illustri predecessori, ha inserito nella trama, soprattutto per ciò che attiene al gioco delle parti tra vittima e carnefice, che è in definitiva il punto focale della narrazione.

Se in Herzog e in Murnau la protagonista femminile Ellen Hutter è la personificazione vivente dell’innocenza e della purezza virginale, collocata in una posizione radicalmente altra rispetto al Male che la assedia, insidiata e braccata suo malgrado dal mostro al quale cerca di sottrarsi con ogni fibra del proprio essere al fine di preservare intatta la virtù, secondo uno schema che potremmo definire quasi geometrico nella sua manichea polarità, in Eggers l’ambita preda, interpretata dalla giovanissima Lily – Rose Depp, talentuosa figlia d’arte come meglio non si potrebbe sperare – intrattiene invece (questa è la fondamentale differenza prospettica) ambiguo commercio con le tenebre. È lei, infatti, novella sacerdotessa di Iside come la definisce il medico ed esoterista Albin Eberhart von Franz che la assiste, ad evocare in tenera età il demone perché le sia di protezione e conforto nella disperante angoscia che le offusca la mente. “Lui è la mia tristezza, lui è la mia vergogna”, ammette la ragazza nel confessare l’abominio all’ignaro marito Thomas da lei stessa mandato al massacro senza troppi scrupoli. 

Tra Nosferatu e la sua devota discepola intercorre un legame torbido, sotterraneo, di tipo potentemente medianico, del quale non vi è traccia alcuna nelle precedenti versioni, e quando il vampiro si palesa al cospetto di Ellen nelle scene conclusive per esigerla e richiamarla a sé le dice (rigorosamente in rumeno): 

“Tu non sei destinata al genere umano. Noi due siamo sempre stati uniti nell’anima. Ora lo saremo anche nella carne”. 

Entrambi sono però vincolati al rispetto del patto siglato a suo tempo. Perché le nozze mistiche possano consumarsi favorendo così l’alchemica ricomposizione degli opposti necessaria a liberare Nosferatu dalla maledizione e debellare la peste che incombe su Wisborg, Ellen deve offrirsi volontariamente al martirio. 

Abbracciare l’Oscurità è sempre una scelta. Libera e consapevole.  

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