In un passaggio, di mesi fa, all’interno di uno scritto sulla Dottrina militare ebraica israeliana Dahiya, scrivevamo: “Se dunque Israele, nel giro di un breve spazio temporale, non riuscirà a eliminare i vertici di Hamas o non si mostrerà in grado di annichilire gli altri fuochi della resistenza sciitaanti-israeliana che colpiscono ai fianchi (Libano, Yemen), la Dottrina Dahiya rischierebbe di precipitare nell’oscuro terreno dell’auto-logoramento strategico: campo in cui la sta trasportando Hamas dal 7ottobre”. Israele non aveva, sino a oggi, allargato il conflitto poiché non aveva ancora avuto il placet del Pentagono. Quest’ultimo è arrivato il 27 luglio, nel corso di un viaggio del premier ebraico israeliano Netanyahu negli Usa dove ha ottenuto il consenso totale di entrambi gli schieramenti statunitensi (democratici e/o repubblicani) e dopo uno strano attentato avvenuto a Majdal Shams, sulle alture occupate del Golan, storicamente contese. L’agenzia di stampa SAMAA riporta che Herzi Halevi, capo di stato maggiore del regime ebraico, ha subito annunciato – sebbene l’Hezbollah avesse immediatamente dichiarato la propria estraneità all’incidente che ha portato alla morte di 9 persone, tra cui bambini – che la risposta israeliana sarà devastante. Per ora, Israele avrebbe colpito con i propri caccia il villaggio di Al-Abassieh, nella città di “Sour”, in Libano, con 2 missili. In questa serie di attacchi, sono stati bombardati anche i villaggi di Kafr Kala, i dintorni del villaggio di Alborj Shamali e il villaggio di Tirharfa. Si segnala inoltre che il villaggio di al-Khayam nel Libano meridionale è stato bombardato due volte. Sebbene si stia svolgendo in queste ore, a Roma, una tentata mediazione tra forze di intelligence israeliane, qatariote e egiziane anche sulla vicenda degli ostaggi, le frontiere insanguinate (dal 1948) del Medio Oriente continuano a espandersi in modo tragico e irreversibile. Da un punto di vista strategico, l’elemento più significativo dal 7 Ottobre a oggi è che nell’ultima settimana la Cina – in coincidenza con il viaggio americano del premier ebraico – è divenuta garante e sponsor della Palestina in ogni sua componente, da quella tradizionalmente nazionalista a quella più islamica e vicina all’Iran; un passaggio qualitativo e strategico di assai rilevanti dimensioni che riduce drammaticamente anche in questo caso, come già avvenuto per l’Ukraina, il potere politico e negoziale dell’Occidente. Come avevamo rilevato nel già citato art., come del resto in quello sulla Fine storica dell’ Israele come conosciuto sino a oggi, il regime ebraico israeliano aveva bisogno di un sostegno incondizionato dell’intero Occidente; tale sostegno è arrivato. Ma al tempo stesso l’intero fronte anti-occidentale, sicuramente più numeroso e ampio, si va ora coalizzando sotto la guida cinese nel sostegno sempre più radicale e armato alla Palestina. La stessa India di Narendra Modi si potrebbe ora trovare in relativa difficoltà e contraddizione nel continuare a conciliare la propria via preferenziale con russi, cinesi, iraniani senza abbandonare la propria tradizionale relazione con gli israeliani. D’altra parte se Yuri Di Benedetto, proprio in questo blog, riguardo alla questione palestinese aveva preventivato che la posizione corretta per un movimento culturale nazionale italiano era quella del neutralismo attivo italiano non interventista, senza cadere nel deviazionismo occidentalista o orientalista, non possiamo comunque trascurare che già in vari casi ritenevamo assai più probabile – senza escludere affatto l’ipotesi apertura nuovo fronte di guerra asiatico – una guerra civile internazionale e globale, a bassa (culturale) o alta intensità, piuttosto che una terza guerra mondiale Oriente versus Occidente.
Il sentimento popolare occidentale, non solo europeo ma anche americano, nonostante il bombardamento mediatico quotidiano delle democrazie totalitarie per conto di Associated Press, Agence France-Presse e Agenzia Reuters – tre agenzie che rispondono al medesimo committente, ovvero le suddette elite – è sempre più quasi generalmente estraneo alla logica di guerra globale permanente delle elite militari e tecnocratiche occidentali. Sul campo rimarrebbe la prospettiva di un conflitto atomico, a tutta prima considerato dagli specialisti limitato sul fronte asiatico in funzione anti-cinese, già tragicamente sperimentato dagli Occidentali contro il resistente e coraggioso Giappone nell’agosto 1945. Ma anche questo scenario esigerebbe, pur nella propria tragica e si può pure dire infernale intenzione operativa, una volontà di attiva creatività e ricostruzione che l’Occidente sembra aver completamente smarrito nella sua involuzione tipica della fine di un ciclo. In effetti la rappresentazione anti-iconografica della cerimonia di apertura delle Olimpiadi parigini testimonia che l’occidente democratico è proiettato in modo solipsistico e alienato all’assoluta auto-distruzione e all’auto-annientamento; la fase della pura negatività e della contrapposizione furiosa e postumana contro la propria essenza identifica l’Occidente finale della nostra epoca. Oggettivamente – non fosse appunto per la tragica prospettiva nucleare – un tale Occidente non impensierisce né può più spaventare grandi potenze stabilizzatrici come Cina o India. Anche all’interno degli Usa, la scissione interna pare a uno stadio talmente avanzato che una vittoria Dem non sarà riconosciuta dal popolo repubblicano, una vittoria Trump non sarà riconosciuta dalle forti elite dell’informazione occidentale Woke e di Sinistra Radicale. Di conseguenza, anche in tal caso, non è difficile capire che una radicale estensione del conflitto israeliano nel resto del Medio Oriente rafforzerà ancora di più la Cina, il blocco islamico-confuciano oramai ben collaudato. La nuova egemonia globale cinese inizia ora a fare le prove con la propria prova del fuoco per salvare l’umanità dal caos mondiale.