Milei (giustamente) rivuole le Isole Malvinas e l’Antartico
Di Giuliano Maranga
Lo scorso 22 febbraio 2024 il Min. degli Esteri argentino, Diana Mondino, tornava a sollevare la questione “dell’occupazione illegale” del Regno Unito delle isole Malvinas in una sessione del Comitato speciale sulla decolonizzazione dell’Onu a New York, chiedendo a Londra “equi negoziati bilaterali secondo il diritto internazionale” per risolvere la disputa sulla sovranità.
Nel corso del dibattito su un progetto di risoluzione firmato da Bolivia, Cile, Cuba, Ecuador, Nicaragua e Venezuela (i sei Paesi latinoamericani del Comitato), che propone l’istituzione di un tavolo negoziale bilaterale, Mondino ha evidenziato che “sono passati 191 anni dall’inizio dell’occupazione illegale delle isole da parte del Regno Unito, ma il tempo trascorso non ha in alcun modo sminuito la validità delle rivendicazioni, né ha modificato la convinzione che l’annosa disputa debba essere risolta pacificamente, attraverso negoziati bilaterali”.
L’autodeterminazione – ha aggiunto la ministra – “non può servire come pretesto per attaccare “l’integrità territoriale dell’Argentina”, avvertendo che “l’attuale composizione della popolazione delle Isole è il risultato della colonizzazione del Regno Unito, che dopo aver occupato il territorio con la forza e aver espulso le autorità argentine, ha attuato misure per impedire l’insediamento di argentini dalla terraferma, favorendo l’insediamento sulle isole di britannici, con l’obiettivo di definire una composizione demografica adatta ai propri interessi.
Nel quadro dell’incontro svoltosi nello scorso aprile a Buenos Aires tra il Ministro della Difesa Luis Petri e il suo omologo danese Troels Lund Poulsen, l’Argentina ha firmato la Lettera di Intenti per l’acquisto di 24 caccia F-16 MLU in radiazione dai ranghi della Reale Aeronautica Danese. Imminente un altro incontro per finalizzare un contratto di vendita che formalizzerà l’acquisizione dell’aereo da combattimento per l’Aeronautica Militare argentina (FAA); l’accordo sembra chiudere la lunga vicenda che ha visto l’Argentina rivolgersi negli ultimi anni in più direzioni per tornare a disporre della capacità di difendere il proprio spazio aereo con velivoli da combattimento.
Sia Stati Uniti che Cina non si sono opposti a tale piano di riarmo, che svantaggia soprattutto la Gran Bretagna. Non è un caso che The Telegraph in questi giorni abbia sponsorizzato in modo radicale le violente proteste anti-governative argentine, un chiaro tentativo di rivoluzione colorata modello MI6 e abbia minacciosamente messo in luce il legittimo progetto strategico argentino di Sicurezza Nazionale come uno strumento di nazionalismo argentino, “fascista” anti-imperialista e anti-britannico. In questo senso il quotidiano del Regno Unito ha subito posto al centro la questione delle Malvinas, isole strategiche ricche di petrolio e varie materie prime, richiamando l’attenzione dei lettori sul conflitto dell’aprile 1982, che secondo vari analisti e geopolitici sarebbe stato più destabilizzante e pericoloso, nel contesto della guerra fredda dell’epoca, della stessa crisi dei missili di Cuba.
Jorge Anaya, lo stratega del Processo di Riorganizzazione Nazionale argentino (24 marzo 1976 – 10 dicembre 1983), una sorta di Stato organico cristiano e nazionalista di necessaria emergenza, antioccidentale e antisovietico, demonizzato ossessivamente dall’imperialismo britannico per la questione dei desaparecidos (che oggi i più imparziali storici argentini hanno delegittimato come strumento di mero tornaconto economico e battaglia politica trasformando squadre speciali di terroristi della Quarta Internazionale al servizio permanente di agenzie straniere e anti-argentine come CIA, KGB, MI6 in presunti martiri ), con il Generale Fortunato Galtieri, definito nell’ambito del Processo il “Mussolini argentino” o il “Duce dell’Argentina” dato che conosceva a memoria i discorsi di Mussolini sull’imperialismo britannico e sulla lotta necessaria ed eterna del sangue contro l’oro con i quali arringava i suoi soldati, poneva eroicamente nell’82 Buenos Aires nella leadership globale dei Movimento dei Non Allineati. Era effettivamente la prima volta che un caso simile si verificava durante la guerra fredda, in cui tutto era rimasto sempre entro il precostituito schema bipolare. L’esecutivo italiano dell’epoca, Spadolini I, con il lasciapassare del presidente neo-partigiano e neo-antifascista Sandro Pertini (probabilmente, anche per questo, il peggiore e il più antinazionale P.d.R. della nostra storia), cancellava con la viltà tipica delle democrazie massoniche “anglosassoni” un indiscusso legame di spirito, sangue, tradizione che unisce l’Italia all’Argentina prima che a ogni altra nazione. L’eroismo dei soldati argentini, che in certi casi assieme alla bandiera argentina avevano il tricolore italiano sperando sino all’ultimo nel sostegno politico internazionale e diplomatico di Roma (nonostante i massoni Spadolini e Pertini scelsero di nuovo la via oscura e tenebrosa dell’oro e della sudditanza), fu indubbio.
Il tenente Roberto Estèvez, appena arrivarono gli inglesi, confidò ai suoi camerati che non c’era altra via che la morte, ovvero la pura offerta di sangue argentino agli dei della guerra per salvare la Nazione; la disparità di forze politiche e militari era troppo elevata, sarebbe arrivata la catastrofe e la morte della patria. Dopo vere e proprie missioni di puro ardimento, trovò infine la morte agognata per la grandezza della sua patria il 28 maggio 1982.
L’aviatore Guillermo Crippa, in volo di ricognizione su un italiano Aermacchi, vide le navi inglesi pronte a sbarcare i soldati sulle isole, da solo attaccava la flotta, zigzagando tra i colpi dell’artiglieria avversaria, poi riusciva ad atterrare e avvertiva i propri camerati del pericolo imminente. Gran parte dei ragazzi nazionalisti argentini morti in combattimento (es. Tito Gavazzi, Mario Nivoli, che per primi dettero questo esempio nel totale sprezzo della morte e del pericolo) caddero attaccando le navi anglosassoni, sfiorando ripetutamente e continuamente il classico pelo d’acqua, per non esser riconosciuti dai radar inglesi. I metri erano chiaramente troppo bassi per azionare l’espulsione automatica e la vita se ne andava così… La squadriglia Nene era solita rifornirsi in volo dai KC-130 per continuare senza sosta la lotta contro gli imperialisti britannici che occupavano illegalmente l’Argentina. Nel 2022, nel clima di riscoperta dell’identità nazionale e nella consapevolezza che il popolo argentino non fu mai unito nella sua storia come in quei giorni del 1982, è uscito un libro sugli eroi delle Malvinas che è andato a ruba tra la stessa gioventù; la maggior parte dei cognomi dei “gloriosi caduti dell’82” è di evidente origine italiana, ciò non può che far pensare alla vera autentica continuazione della guerra del Sangue contro l’oro, unica dopo il 1945. L’Argentina ha combattuto da sola contro il mondo, un po’ come fu per l’Italia dei giorni che furono. El Poltro (Oscar Poltronieri), l’eroe nazionale delle Malvinas, quando incontra un italiano, dice solitamente “siamo della medesima nazione, siamo uno stesso popolo; abbiamo le stesse idee, gli stessi sentimenti sul mondo”.
L’Argentina e la sua Giunta Nazionale Anti-Imperialista vennero sconfitte non perché non combatterono con onore o perché non furono seguite dal popolo, nonostante il clima di ristrettezze economiche causate dal sabotaggio sociale occidentale, ma a causa degli utilizzi della rete satellitare americana e della base radar cilena di Punta Arenas; ciò permetteva al Nemico anglosassone di conoscere spesso in anticipo gli spostamenti degli aerei argentini. Mentre Pinochet tradì meschinamente la Giunta Nazionale di Buenos Aires,il Brasile nazionale del Generale Figuerido sostenne su tutta la linea gli argentini impegnati in guerra. Anche di recente, Jair Bolsonaro, leader dei nazionalisti brasiliani dei nostri giorni, ha ribadito che se vi sarà ancora una lotta di liberazione per le Malvinas lui sosterrà Buenos Aires, mentre Lula si è guardato bene dal fare simili dichiarazioni. L’Isola di Ascensione, base navale militare americana nell’Atlantico, era spesso utilizzata dalla marina britannica come punta di partenza. I governi successivi, tutti venduti a Londra, al Processo dettero avvio alla terribile e infame “desmalvinización”. Il problema di sovranità restava però un punto fondamentale a livello popolare e nazionale, confinato alle varie Associazioni di nazionalisti e dei reduci dell’82; vuoi per la ricchezza, vuoi per la postura geostrategica di Malvinas, Georgias meridionali e Sandwich meridionali, vuoi per il ricordo indelebile dei ragazzi nazionalisti caduti per un gesto d’amore verso la patria attaccata da tutto il mondo, la questione Malvinas non poteva finire comunque nel dimenticatoio. Quella zona strategica assicura del resto il controllo del mare argentino sino a 2500 km dalla costa patagonica, aprendo appunto alle rotte australi; lì è dunque immediato il passaggio sulla fascia continentale antartica, punto di congiunzione tra i tre oceani. Se quindi Milei porrà finalmente, una volta per tutte, la questione delle Malvinas argentine al centro dell’agenda nazionale, questa volta l’Argentina non sarà isolata e sola contro tutti come nell’82. È auspicabile, anzi, che un leader britannico serio e moderato come Nigel Farage apra al dialogo con Buenos Aires rinunciando da subito ad avventurismi violenti, militaristi e neocolonialisti di cui la Gran Bretagna rimane purtroppo regina.