Avevamo scritto, circa una settimana fa, che il semaforo verde dato dal Pentagono, preoccupato dalla pesante interferenza cinese nel Grande Medio Oriente, al partito ebraico di guerra d’Israele avrebbe momentaneamente ringalluzzito il fronte di Netanyahu, pur stremato da mesi di guerra di auto-logoramento strategico. La serie di azioni mirate di cui ha dato prova Israele in questi giorni, con la sua intelligence, accresce indubbiamente la sua qualità tattica operativa ma, ancora per il momento, non sposta affatto gli equilibri strategici regionali, che vedono ancora oggi Israele nella fase del ripiegamento più che in quella della vera e propria offensiva su ogni fronte. Non deve infatti sfuggire che Haniyeh rappresentava la frazione turca, la più mediatrice, del fronte armato palestinese – che non a caso sostenne la rivoluzioni colorate arabe di Obama e il fronte anti-baathista nel corso della guerra civile siriana – non a quella più militarista e radicale che rimanda a Yahya Sinwar, erroneamente descritto dalle agenzie occidentali come uomo o pedina di Tehran.
Paradossalmente, dopo l’omicidio di Haniyeh, Sinwar, un autentico “reazionario” islamico, diviene più che mai il leader unico e indiscusso della guerra anti-israeliana palestinese; il suo peso strategico è destinato a crescere. Il suo obiettivo è chiaro: prolungare il più a lungo possibile la guerra di sterminio e annientamento d’Israele, dato che, sono sue parole: “Noi palestinesi facciamo notizia solo con il sangue, niente sangue niente notizie sulla Palestina”. Per Sinwar è indifferente una eventuale vittoria israeliana; egli sembra auspicare anzi – memore della vittoriosa guerra di liberazione jihadista afgana e contro i comunisti sovietici e contro i capitalisti d’occidente – una occupazione militare israeliana sulla Striscia e sopra milioni di palestinesi. Il fatto è che Sinwar ha meditato nei lunghi anni di prigione l’idea e la pratica della Jihad anti-occidentale e parla in proposito di “sacrifici necessari” di donne, bambini, anziani palestinesi al fine della resurrezione religiosa della nazione palestinese con un nuovo polo globale islamico con capitale Gerusalemme. Peraltro, sull’esempio ideologico del Partito di Dio (Hezbollah) libanese di Nasrallah, egli associa l’eventuale fine della Palestina storica e tradizionale sotto i furiosi bombardamenti sionisti ad una vera e propria Karbala, luogo mitico e storico del martirio sciita per eccellenza, quello dell’imam Hossein nel 680. Non a una grande sconfitta storica, ma addirittura a una resurrezione spirituale e religiosa.
Se dunque i vertici religiosi e politici iraniani – oramai immemori della lezione di Imam Khomeini – protraggono un gioco tattico assai modesto e inquietante, è proprio il palestinese sunnita Sinwar che pare applicare alla lettera l’escatologia metafisica khomeinista secondo cui lo scontro definitivo con Israele, bandiera retorica per generazioni di iraniani, avrebbe corrisposto alla venuta dell’Imam del Tempo, il Mahdi. Viceversa, l’esasperato tatticismo politico o, forse, politicante di Tehran, che lascia sempre più insoddisfatto lo stesso Hezbollah, pare sempre più debole sotto i colpi dell’aggressività sionista che sta ora portando a termine una serie di operazioni tattiche di certo rilievo.
È assai probabile che proprio dal variegato cosiddetto Asse della Resistenza sciita (che certamente comprende il sunnita Sinwar, senza mutilare la sua autonomia) più che da una Teheran sempre più frastornata e impaurita o da Erdogan, battendo anche i fronti al di là dei confini israeliani, possa arrivare la temuta reazione a questa serie di pesantissime sconfitte tattiche inanellate in questi giorni. Ove si verificasse un simile scenario, la guerra d’attrito o posizione (non movimento) tra il partito “reazionario” di Sinwar e l’ebraismo diventerebbe strategica aprendo sicuramente una nuova, ignota frontiera nella storia dell’umanità. Giustamente in questo blog già era stato scritto, mesi fa, che il mondo arabo o mussulmano non aveva oggettivamente altra via che quella dell’Islam nero o reazionario per lanciare una sua sfida di civiltà nell’odierno mondo multipolare che non sarà certo di lunga durata.