Di Andrea Giumetti
Se non avete mai visto Il Corvo, andate a vederlo. Se lo avete già visto, rivedetelo di nuovo.
“Non può piovere per sempre…”
Abbiamo detto in precedenza per questa rubrica come gli anni ’90 abbiano visto una particolarissima produzione di film, a cavallo tra l’action e il distopico, che nascondono messaggi sociali e chiavi di lettura molto profondi, nascosti sotto i muscoli e il machismo. Il Corvo è evidentemente un film su questo filone, per altro uno di quelli con un protagonista ribelle che cerca vendetta, quindi forse la più classica delle trame dei film di azione… e tuttavia, è anche un film con un livello di qualità artistica eccelso, così forte da essersi impresso nella memoria collettiva per le sue citazioni, la sua fotografia e la potenza emotiva della storia raccontata.
Uscito nelle sale nel maggio del 1994, Il corvo fu diretto da Alex Proyas, all’epoca regista emergente ma ancora alle prime armi, e nasceva come trasposizione su grande schermo dell’omonimo fumetto firmato da James O’Barr. Il film non schierava un cast composto da molti nomi famosi o emergenti: gli attori più famosi scritturati erano Michael Wincott, apparso in film di grande successo come Nato il 4 Luglio e Robin Hood – Principe dei Ladri, ma soprattutto Brandon Bruce Lee (figlio di QUEL Bruce Lee), il cui nome venne iscritto per sempre nel firmamento delle grandi star del cinema dal fatto che la sua grande prestazione in questo bellissimo film fu anche la sua ultima. L’attore, infatti, morì ad otto giorni dalla fine delle riprese, ferito mortalmente da un colpo di pistola sul set, sparato da un’arma che avrebbe dovuto essere caricata a salve. A sostegno di una fotografia brutale e gotica, in cui i toni principali sono ombre buie, pioggia grigio-azzurra e incendi scarlatti, e di un narrato viscerale, orrorifico e affascinante, la colonna sonora di Graeme Revell regala emozioni. Infatti, l’estetica gotica del film viene accompagnata da brani metal e rock di band del calibro dei Rage Against the Machine e i Pantera, inframmezzati con musica classica dolce e malinconica, che completa la composizione simbolica delle scene particolarmente commoventi.
Sebbene la storia del film sia ambientata a Detroit, come per Demoliton Man (1993), le suggestioni causate dalla rivolta di Los Angeles del 1992 sono evidenti e si intrecciano nella trasposizione grafica che viene data delle vicende del film, a cominciare dalla scena iniziale. Infatti, Il Corvo si apre proprio con immagini di una città, in particolare di un quartiere storico, che viene consumato dalle fiamme di numerosi roghi appiccati da criminali, invasati e rivoltosi, e che la polizia, evidentemente incapace di affrontare e reprimere ciò che sta avvenendo, bolla sostanzialmente come l’opera di pazzi. Il volo d’uccello tra i palazzi storici in fiamme è scandito dalle note magiche del Duduk, il flauto tradizionale armeno, e conduce lo spettatore fino ad una finestra tonda di un attico, sfondata verso l’esterno, che brilla di luce rossa, come un occhio insanguinato che osserva le fiamme della civiltà. Il Duduk, naturalmente struggente, ci prepara a ciò che ci verrà raccontato di li a poco: un scena così spaventosa che chiunque non può esimersi da sperimentare un transfert. Chiunque abbia visto questo film, riflettendoci sopra, si rende conto che dopo ne è risultato cambiato, e per tantissimi, compreso chi scrive, è un film incredibilmente significativo.
Questo stato di cose avviene poiché la maestria nella realizzazione di questo film è stata tale che, in più di un momento, si sperimentano dei profondi transfert emotivi rispetto al protagonista e alle sue motivazioni, così come non si può fare a meno di provare disagio nei confronti di quelli che sono gli antagonisti. Ne parleremo meglio in seguito, vedendo la trama del film, ma vale la pena di spendere ancora qualche parola per parlare un po’ del “main villain”. Interpretato da Michael Wincott, Top Dollar è il contro altare di Simon Phoenix, l’antagonista in Demolition Man. Phoenix era un uomo estremamente intelligente che in una società diversa sarebbe potuto diventare qualsiasi cosa, che ha costruito una banda, che comanda grazie al carisma di un capo, con cui vuole costruire qualcosa. Top Dollar (si noti bene che non ha nemmeno un nome proprio), invece, è un uomo violento, sadico e crudele, che incarna quegli oscuri istinti che taluni animi umani covano quando sono preda della noia. Cannibalismo, omicidio, mutilazione, incesto… per Top Dollar nulla è troppo, e al tempo stesso nulla è abbastanza. Egli governa un vero e proprio impero del crimine, in una città depressa, sporca e buia, e nonostante questo è preda di un nichilismo fatalista impressionante: è il male vero, quello che agisce senza motivo alcuno, che non pensa e non si cura delle conseguenze, e che non ha spazio per alcun reale attaccamento all’infuori del narcisismo patologico.
La trama, come sempre ragionevolmente spoiler free
La città è in fiamme. La società civile non riesce a porre un freno alla criminalità, che avanza avviluppando, soffocando e pervertendo le persone. Subito dopo essere passati attraverso la finestra tonda, scopriamo infatti che si è consumato un terrificante avvenimento: una coppia di giovanissimi, che avrebbero dovuto sposarsi il giorno dopo, è stata aggredita da dei malviventi entrati in casa loro. Il ragazzo è stato gettato di peso fuori dalla finestra, e giace ridotto in poltiglia sul marciapiedi sei piani più in basso; la ragazza invece è stata stuprata dal branco, picchiata e mutilata, ed è in fin di vita. La polizia è impotente, rassegnata, distratta e schiava della burocrazia e del protocollo: hanno perfino assegnato un nomignolo ai roghi appiccati il 30 ottobre: “La notte del Diavolo”.
Tuttavia, in mezzo al buio e all’immondizia opprimente delle strade di Detroit, un piccolo atto di gentilezza: le ultime parole della ragazza, Shelly, sono dedicate a Sarah, una bambina che è arrivata sulla scena. Il poliziotto che parla con Sarah, Darry (Ernie Hudson), tenta di confortarla, e si può già immaginare che, in qualche misura, tenterà di esaudire l’ultimo desiderio e proteggere la bambina. Passa un anno esatto. Sarah è davanti alle lapidi della ragazza e del ragazzo, Eric Draven, sotto una pioggia opprimente. Sulla lapide di lui volteggia e si posa un corvo, che becca sulla pietra con cadenza ritmica, mentre Sarah se ne va sul suo skateboard. Scopriamo che i roghi continuano ad essere appiccati da bande di pazzi scatenati: la prima vittima di questa nuova Notte del Diavolo è una sala giochi, un memento del fato che quando c’è vita notturna pulita la criminalità smette di avanzare, e mentre le bombe esplosive detonano, dalla sua lapide il corvo osserva la terra sepolcrale aprirsi. Dalla bara, avvolto nei suoi abiti sbrindellati, emerge Eric, che striscia nel fango prima di levare un urlo di disperazione al cielo: lo stesso che era stato interrotto un anno prima dal suo impatto con l’asfalto. Riuscito a tornare nel suo appartamento, che è ancora devastato e abbandonato, Eric è tormentato dalle visioni del ricordo della notte della sua morte, che si scatenano dopo aver toccato il suo gatto, Gabriele. La simbologia non è immediatamente percettibile, ma non dimeno c’è ed è potente: Gabriele è l’arcangelo della spada fiammeggiante, colui che incarna la collera di Iddio e che annuncerà l’inizio della fine dei tempi; allo stesso modo, Eric è ormai una creatura sovrannaturale e immortale, votata al castigo vendicatore.
Se la scena iniziale del film, con il racconto della violenza e dello stupro ci aveva toccato, ora vediamo dei flashback dell’accaduto, che trasmettono perfettamente il terrore e l’impotenza che i due fidanzati provavano al momento dei fatti. Di nuovo, credo che come me, qualsiasi spettatore maschio si sia trovato con una mano stretta attorno allo stomaco nel vedere Eric, costretto ad assistere mentre la sua futura moglie veniva ripetutamente violentata e poi dilaniata. Ad ogni buon conto, ciò che ci dà la perfetta caratura del male profondamente e umanamente perverso a cui stiamo assistendo è quando, in uno dei flashback, il leader della gang cita Paradiso Perduto di Milton: “Sbalordito rimase il Diavolo nel comprendere quanto osceno fosse il bene, e vide la Virtù nello splendore delle sue forme virtuose… ma è pornografia!”.
Non serve raccontare nello specifico come la vendetta di Eric, guidato dal corvo che lo ha risvegliato nel cimitero, si abbatterà, in una serie di trionfanti contrappassi, verso il quartetto di teppisti pazzi che hanno distrutto la sua vita, ma è interessante vedere la profonda e commovente sensibilità con cui il regista ci racconta questa reincarnazione sovrannaturale di Eric, muovendosi su un meccanismo dualistico. Da un lato, l’eccellente recitazione di Brandon Lee ci fa capire che la sanità mentale di Eric è spezzata, e che dunque per lui la vendetta è anche uno strumento per non impazzire definitivamente; dall’altro, Eric continua a vegliare sulla piccola Sarah, salvandola sia dal pericolo che dalla sua condizione. E tuttavia, le dolcissime e melanconiche note di un quartetto di archi che accompagnano le scene in cui la bambina è presente sullo schermo, ci lasciano intuire che per quanto Eric vorrebbe riprendere il suo ruolo di guardiano e protettore di quest’anima innocente, quello non è il suo destino. Egli è una creatura di vendetta e castigo, e null’altro.
L’impressione ci viene ulteriormente confermata più avanti nel film. Top Dollar convoca, infatti, una riunione dei “capireparto” della sua organizzazione criminale, in cui ordina loro di andare per le strade e “appiccare il più grande incendio mai visto”, non per la ricerca del profitto, ma semplicemente per lasciare il segno e scatenare l’anarchia. A quel punto Eric, sgattaiolato nell’edificio, si trova faccia a faccia con l’osceno signore del crimine, e tuttavia non ha intenti ostili nei suoi confronti o di nessuno degli altri. Il suo unico scopo è che gli venga consegnato l’ultimo dei quattro direttamente responsabili della morte di Shelly: la cosa è talmente diretta e lineare che Top Dollar ne rimane escluso, anche se è evidente che il mandante sia stato lui. Solo il rifiuto del signore del crimine fa scattare la violenza, che comunque termina immediatamente con la morte dello scagnozzo marchiato.
È il 31 ottobre, la vendetta è compiuta. Eric torna alla sua tomba, libero finalmente di tornare nell’aldilà e riunirsi con Shelly, riuscendo anche ad avere un momento di commiato con Sarah, che ha capito tutto e lo sta aspettando nel cimitero. Ma Top Dollar, intrigato dall’invulnerabilità di Eric, ha trovato una distrazione temporanea dalla sua noia, e piuttosto che tentare di tenere le redini di un impero del crimine che è stato decapitato, sceglie piuttosto di tentare di uccidere il vendicatore colpendone la nero piumata guida. L’esca per attirare Eric nella trappola è evidentemente Sarah, rapita pochi attimi dopo il commiato e condotta nella cattedrale. Eric, il cui compito terreno si è concluso, è disposto a farsi uccidere definitivamente da Top Dollar senza combattere, ma questi, essendo un narcisista patologico, ovviamente non si accontenta della cosa, e getta la ragazza di lato, lasciandola appesa contro il tetto spiovente.
L’incarnazione della vendetta viscerale e del male fine a se stesso si affrontano dunque sul tetto della cattedrale, uno scontro violento che vede Eric, esausto, gravemente ferito e distratto dalla condizione di Sarah, avere la peggio. Top Dollar si china al fianco della sua nemesi per godersi il suo trionfo. Di nuovo, il personaggio di Top Dollar emerge prepotentemente nel corso del dialogo: “Quello che è successo a te e alla tua ragazza? Volevo quel palazzo, e in questa città nessuno può opporsi al mio volere. Mi dispiace di avere impedito le vostre nozze, amico mio. Ma se può esserti di consolazione, sei riuscito a farmi ritornare il sorriso”.
Eric, disgustato dalla leggerezza e superficialità con cui viene liquidata la morte dell’amore della sua vita, si avventa contro Top Dollar, e toccandogli la fronte gli trasmette le immagini e le sensazioni delle terribili 30 ore di agonia passate da Shelly in rianimazione, lottando tra la vita e la morte. L’agonia è tale che Top Dollar, l’essere piatto e vuoto che tentava disperatamente di liberarsi dalla noia della sua vuota esistenza, cade nel vuoto, finendo impalato sulle corna di uno dei gargoyle della cattedrale.
Un film distopico?
La definizione potrebbe essere in effetti un po’ stiracchiata, rispetto ad altri film in cui la sfocatura rispetto alla realtà è più netta. Tuttavia, Il Corvo rientra, a mio giudizio, pienamente all’interno della categoria, grazie alla ricchezza grafica con cui il degrado e la liquidità della città vengono raccontate.
Innanzitutto, il fatto che il film, come il fumetto da cui è tratto, siano ambientati a Detroit è già di per se importante dal punto di vista simbolico: la città era infatti il cuore dell’industria pesante degli Stati Uniti, casa di decine di migliaia di operai. Con la crisi del capitalismo classico cominciata negli anni ’70, una crisi che andò avanti anche per buona parte degli anni ’80, Detroit divenne una città di disoccupati, centro di una “rust belt” di fabbriche abbandonate. Tra le strade buie e piene di immondizia della Detroit de Il Corvo, l’anomia della società ha creato i suoi peggiori mostri, che come predatori, si aggirano per divorare le persone rette e di buon cuore. Notabilmente, con la sola eccezione del cimitero, nel film non si vede una singola pianta, né un singolo filo d’erba. È tutto cemento, legno fatiscente e plastica.
Un altro elemento interessante del film è il modo in cui l’autore racconta la musica Metal: all’epoca dei fatti Varg Vikernes e il gruppo gravitante attorno all’Helvete avevano già cominciato a condurre le loro attività, e sebbene i media viaggiassero all’epoca più lentamente, nondimeno è probabile che la società Statunitense di quegli anni percepisse la matrice contro-culturale dell’Heavy metal e del Punk Metal con lo stesso metro di giudizio perbenista e puritano che aveva adottato verso il Rock e i movimenti Hippie. Nel film, come nel fumetto, Eric è membro di una band metal: non abbiamo elementi che ci raccontino la sua vita, ma ciò che sicuramente sappiamo è che il motivo per cui i teppisti di Top Dollar sono stati scatenati, è proprio perché la coppia di ragazzi ha cercato di organizzare un comitato cittadino per combattere il degrado, senza contare l’aver “adottato” Sarah, subentrando al ruolo genitoriale della madre tossicodipendente e assente. Nel film sono presenti due scene ambientate in un club underground dove si esibiscono band Metal (e si tratta di un cameo, poiché sono due band effettivamente esistenti ed inserite nella colonna sonora), che occupa il primo piano dello stabile in cui vive Top Dollar, e nel corso di una breve scena, si può vedere che anche il gruppo di Eric si è esibito in quel posto in passato. Il significato simbolico della scena è difficile da decifrare, ma probabilmente ciò che l’autore voleva sottintendere è che il vero male raramente si palesa apertamente, ma piuttosto rimane nascosto dietro una facciata di perbenismo. In particolare, suppongo, il perbenismo calvinista e borghese degli USA, in cui il modello preferito è proprio l’uomo di successo.
Come spesso accade ai film di grande successo, si tentò di far diventare Il Corvo una saga cinematografica. Furono realizzati tre film sequenziali, che ricalcavano la storia dell’originale seppur non essendone in alcun modo collegati direttamente, e una serie TV nei primi anni 2000. Furono tutti brutalmente stroncati dalla critica e gettati nel dimenticatoio; una cosa tutto sommato comprensibile, se consideriamo il livello cinematografico e simbolico della pellicola originale. Nel corso del 2024 verrà rilasciato un Remake del film, che riproporrà quindi la storia, seppur cambiando completamente tutti i fattori ambientali, aggiornando i temi al nuovo millennio, spostandosi dal Metal alla musica Trap. Quello che appare decisamente più discutibile di questi cambiamenti, e che probabilmente motiva la bassa aspettativa che il film ha suscitato, è che l’elemento dell’anarchia e della follia nelle azioni dei “cattivi” è piuttosto soppiantato da una tradizionale logica criminale. In altre parole, se Il Corvo ci obbligava a non distogliere lo sguardo dagli abissi dell’animo umano, questo film sembra invece più simile ad un classico film “vendetta e cazzotti” con i duri di Hollywood. Vedremo…