IL CINEMA DISTOPICO DEGLI ANNI ’90 – Demolition Man 
IL CINEMA DISTOPICO DEGLI ANNI ’90 – Demolition Man 

IL CINEMA DISTOPICO DEGLI ANNI ’90 – Demolition Man 

Di Andrea Giumetti

Gli anni ’90 sono forse stati il decennio più felice del ’900. La fine della Guerra Fredda aveva esorcizzato la paura di un Armageddon nucleare, l’economia finanziaria neoliberista inaugurata al giro di boa del decennio precedente era ormai stabilmente avviata, e si era in un periodo in cui un ragazzo o una ragazza potevano guardare con fiducia al futuro, e coltivare dei sogni. La de-industrializzazione cominciata con la crisi degli anni ’80 aveva ormai esaurito lo shock rispetto al brusco calo dell’occupazione, e si iniziava già ad avviare qualche importante progetto di recupero per gli scheletri delle gigantesche zone industriali. Con il ridimensionamento delle fabbriche, ma anche con la graduale messa al bando della benzina addizionata col piombo, le città diventavano più vivibili, e l’ecologia veniva percepita non come uno strumento di terrore, quanto piuttosto una considerazione volta a futuri miglioramenti della vita. 

Certo, la grande festa era per lo più in Occidente, laddove invece la scomparsa dell’URSS aveva aperto in molti paesi del mondo, a partire proprio dalla neonata Federazione Russa, un decennio di disastri sociali e umani; e tuttavia, il clima generale era di contenta e fiduciosa rilassatezza verso la promessa implicita di un futuro in cui la tecnologia avrebbe garantito a tutti benessere, pace e prosperità. Ma come sempre accade per le profezie, c’era chi non credeva affatto che il futuro dell’iperpotenza economica senza controllo potesse essere la strada per raggiungere l’armonia, e che piuttosto vi vedeva i segnali di una futura liquefazione del tessuto sociale. 

Tra l’inizio degli anni ’80 e la fine degli anni ’90, l’industria cinematografica americana conobbe una stagione in cui vennero prodotti una serie di film categorizzati come “azione”, che si caratterizzavano per un lato estetico decisamente sopra le righe, nascosto poco dalla qualità delle nuove cineprese, con attori molto “muscolari” (dall’ex bodybuilder Schwarzenegger, a star del Wrestling come Ox Baker), colori più vividi, esplosioni più impressionanti e un sonoro semi-standardizzato molto caratteristico. Eppure, dietro all’estetica “peculiare” e pop, dietro ai cazzotti, agli anfibi e alle frasi celebri (che non a caso vengono oggi prestate ai meme) spesso questi film presentavano delle trame di primissima categoria, con riflessioni tutt’altro che banali, e che in alcuni casi ne hanno anche decretato la semi-sparizione dal piccolo schermo, evidentemente perché alcuni dei messaggi che veicolavano tra le righe sarebbero troppo pericolosi se riportati nella nostra attualità. Prendiamone ad esempio un paio, che a mio giudizio potranno essere spunto per qualche riflessione costruttiva nel lettore, cominciando con una immediata evocazione proustiana per mezzo della scena più famosa del film, incidentalmente quella su cui di solito oggi si producono i meme, e una veloce rassegna della trama. 

Demolition Man. Il film di Nostradamus

È quello dove l’intelligenza artificiale, tramite la rete di sorveglianza, emette delle multe per chi impreca, e Sylvester Stallone, tramite una raffica di turpiloqui, manda in crash il sistema.

Ma Demolition Man, per noi che viviamo nel 2024, è molto di più: poche pellicole cinematografiche sono riuscite a centrare il punto sulla società futura quanto questo film, che poggia la sua sceneggiatura sul capolavoro letterario di Huxley Brave New World, ma ne trova delle nuove declinazioni la cui attualità è decisamente spaventosa, senza però rinunciare ad un simbolismo estetico che, come abbiamo visto parlando di Starship Troopers, non manca di aprire la porta verso delle interpretazioni non immediate. 

Nel 1993, l’italiano Marco Brambilla, regista del film, diresse un cast stellare, con grandissimi nomi come Sylvester Stallone, Sandra Bullock (relativamente agli esordi, ma già piuttosto famosa) e Wesley Snipes (che nel film offre sicuramente la prova recitativa migliore, ma d’altronde con gli antagonisti pazzi è spesso così), ma anche degli attori secondari di tutto rispetto, come un insospettabile Jack Black. Demolition Man aveva un budget piuttosto sostanzioso, per l’epoca (50 milioni di dollari), era sostanzialmente privo di CGI se non per i fondali, ma faceva un utilizzo molto sapiente delle scenografie, modulando tutto affinché risultasse alieno, ma comunque piuttosto credibile. 

Una trama distopica di primissima qualità (ragionevolmente spoiler free)

Il film si apre nell’anno 1996, in una Los Angeles che sta bruciando tra le fiamme di una guerra civile causata da una criminalità completamente fuori controllo. La scena è di fortissimo impatto, e riprende la sommossa di Los Angeles del 1992, “citata” anche in film cult degli anni ’90 successivi a Demolition Man, come Il Corvo

Scopriamo la magnitudine del fenomeno criminale assistendo ad una scena in cui i piloti di un elicottero della polizia, sotto il fuoco di contraerea, si avvicinano ad un edificio sotto assedio, commentando: “Ti ricordi quando qui potevano passare i voli civili?” Il palazzo sotto assedio, che ricorda un po’ la villa di Scarface, è circondato da alte mura di vecchie auto impilate, e sta venendo circondato dalla polizia. Si nota fin da subito che la Polizia è a bordo di jeep Hummer, e che lo stesso elicottero è una versione militare, tutti dettagli che accrescono la magnitudine del conflitto in atto, e servono da introduzione al nostro protagonista e antagonista principali. 

Stallone interpreta il poliziotto John Spartan (un cognome evidentemente piuttosto simbolico), impulsivo, dal grilletto facile e incline a non curarsi del danno collaterale (da cui il soprannome Demolition Man), che ci accoglie subito con la prima frase memorabile del film, che segna anche una delle chiavi di lettura: “Ci vuole un pazzo per beccare un pazzo”. Capiamo quindi, e sarà importante in un secondo momento, che l’autore non vuole assolutamente glorificare l’ipotetico 1996, dove evidentemente il sistema sociale è già al collasso. Questo è ancora più accentuato dalla presentazione che viene fatta dell’antagonista Simon Phoenix, interpretato da Wesley Snipes. Phoenix è un Joker, un eccentrico criminale spostato, che per altro porta dei pantaloni larghi dalle fantasie clownesche. Ma se il sotto è un tributo al cattivo di Batman, la sua metà superiore è, nuovamente, un segnale del fallimento della società Yuppie di quegli anni. Dal capello tinto al doppio set di orecchini, infatti, la sua estetica è quella del “teppista” tipico degli anni ’90 (io c’ero, me lo ricordo bene), e inoltre è di colore, il che negli USA vuole sempre dire qualcosa. Oltre a questo, lo vediamo nella sua prima apparizione completa tirarsi una pista di cocaina. Tuttavia, Phoenix non parla con un forte slang da ghetto, è fortemente predisposto all’informatica, ha improvvisato un piano e, come scopriremo dopo la rituale scazzottata con Spartan, lo ha anche ingannato magistralmente. Insomma, è dotato di quella peculiare combinazione di forza, intelligenza e carisma, che più che un criminale lo potrebbero qualificare come Khan, come ci verrà poi confermato più avanti nel film dalla battuta “aveva creato un proprio regno”. 

Demolition Man credo ci suggerisca implicitamente che in un mondo più giusto, lui avrebbe potuto diventare qualsiasi cosa. Come dicevamo in precedenza, Stallone prende a cazzotti Snipes, e riesce a catturarlo, ma nondimeno la polizia non ne può più dei suoi modi sommari, e decide di condannarlo. E qui, vediamo il secondo aspetto tutt’altro che trionfalistico del 1996: Phoneix e Spartan vengono infatti rinchiusi in un carcere speciale, dove saranno ibernati e sottoposti ad ipnoterapia per modificarne il comportamento. Un chiarissimo tributo ad Arancia Meccanica, ma forse anche qualcosa di più. Ad ogni buon conto, il film salta direttamente al 2032. E qui continuano le profezie inquietanti: ci viene fatto sapere che nel 2010 vi è stato “un grande sussulto”, e pochi anni dopo un “Megaterremoto” (probabilmente quello legato alla faglia di Sant’Andrea che gli esperti si aspettano nei prossimi anni) eventi che, possiamo supporre, hanno sconvolto l’ordine sociale portando alla definizione di un nuovo status quo. 

Nel futuro di Demolition Man non c’è mai una bandiera Star&Stripes, ma in compenso scopriamo che le città di San Diego, Los Angeles e Santa Barbara si sono fuse in un’unica entità, creando un’unica Megalopoli che si estende lungo la costa della California. Se consideriamo che parliamo di un film del 1993, il design aerodinamico e bombato delle auto fa decisamente specie, poiché ricorda quello delle nostre auto, percezione distopica che aumenta nello scoprire che sono auto elettriche, che si guidano da sole tramite una IA di bordo, e che sono perennemente geo-localizzate. Qui facciamo conoscenza del personaggio di Sandra Bullock, Lenina Huxley (nome tributo a Brave New World, poiché riprende il nome di uno dei personaggi e il cognome dell’autore), che è una poliziotta del dipartimento di San Angeles e che interloquisce con il direttore della prigione Criogenica in cui sono stati internati Spartan e Phoenix. Durante la conversazione, condita di formule e auguri rituali, Lenina domanda spensieratamente al direttore del carcere se non sia sconfortato dalla totale assenza di stimoli del lavoro, e questi gli risponde: “Io evito di pensare, ma lei è giovane, pensi pure quanto vuole”. La conversazione, che a parte la frase piuttosto pesante, appare tutto sommato innocente, è in realtà monitorata, e frutta a Lenina un’ammonizione da parte del capo della polizia, in uno scambio di battute estremamente soft, che tuttavia viene commentato dal giovane collega Garcia (Benjamin Bratt) che sconvolto afferma: “Hey, è stata dura!” (tense in lingua originale). 

Nella prima scena del futuristico dipartimento di polizia, vediamo una rapidissima carrellata in cui ci sono molti degli aspetti estremamente distopici di questo futuro, apparentemente idilliaco, fatto di iper-rispetto del prossimo e superficiale ipersensibilità. Bisogna dire che Demolition Man, che comunque era in un filone “action” non manca mai di far spiegare ad uno degli attori quello che vediamo sulla scena, il che è forse una delle pecche maggiori, assieme al finale, della sceneggiatura. Ad ogni buon conto, in pochi fotogrammi ci rendiamo conto che tutti hanno un chip sottocutaneo (che scopriremo poi monitora tutte le funzioni corporee dell’individuo)  che viene scansionato, che ai convenevoli eccessivi si unisce l’evitare ossessivamente qualsiasi contatto fisico tra individui e che quello che la società del 2032 considera un comportamento criminale scandaloso, anche per il fatto che non ci sono più omicidi da sedici anni, è che vengano hackerati degli idranti per far spruzzare della vernice sui palazzi, o che si “violi il coprifuoco”; intuiamo anche, e come per il resto ci viene confermato in un secondo momento, che il contante è stato abolito, e che al posto della valuta fiat viene impiegata quella che oggi definiremmo una criptovaluta, che si può usare per le transazioni tramite il chip sotto cutaneo. 

L’immersione nel passato distopico continua, poiché torniamo alla prigione criogenica, dove Phoenix è stato scongelato per la sua udienza per la riabilitazione, e sta venendo portato davanti al responsabile. Curioso che nella società ipergarantista che abbiamo visto fino a questo momento, sia una sola persona a decidere rispetto alla scarcerazione. Ad ogni buon conto Phoenix, senza sapere come, riesce a liberarsi. Lasciandosi una scia di cadaveri dietro, ruba una macchina (una minicar elettrica, altra profezia di Nostradamus) e, non appena raggiunto un terminale pubblico, lo hackera per ottenere informazioni sul futuro in cui si trova, e soprattutto recuperare informazioni su dove poter trovare delle armi. La polizia del futuro, che non ricorda nemmeno quale sia il codice operativo associato ad omicidio, è allo stesso modo incapace di agire con decisione per fermare gli omicidi. In una scena che è quasi drammaticamente lunga, loro rimangono a guardare il monitor su cui l’IA della centrale sta tracciando i decessi e il percorso della macchina rubata. Quando infine Phoenix si ferma, e nel frattempo scopriamo che ha acquisito la capacità informatica necessaria per bypassare i terminali, gli agenti della centrale festeggiano apertamente il “loro” piccolo successo. L’unico che non è euforico, non ultimo perché si ricorda di Phoenix, è Zachary Lamb (Bill Cobbs), che era uno dei piloti dell’elicottero nella scena iniziale del 1996. 

Quando l’arresto fallisce spettacolarmente, e quindi potremmo anche dire, quando il sistema fallisce, nessuno sa che pesci prendere, ed è Lenina Huxley l’unica che ha l’idea di parlare con Lamb per chiedere informazioni sul precedente arresto di Phoenix. Così, messi di fronte all’impossibilità di fermare un uomo di un tempo primitivo, si decide per utilizzare un altro uomo di un tempo primitivo, il nostro John Spartan. Il risveglio di Spartan, che gli ipersensibili e attenti a non offendere uomini e donne del 2032 non mancano mai di definire come “troglodita, barbaro, cavernicolo ecc…”, è un’altra delle scene più inquietanti di Demolition Man. Spartan, infatti, messo di fronte alla massa delle rivelazioni sulla sua condizione, chiede una sigaretta. Lenina Huxley gli risponde (traducendo dall’inglese): “Il fumo non è salutare, ed è stato deciso che tutto quello che non è salutare, sia male, dunque illegale. Alcolici, caffeina, sport di contatto, carne, parolacce, cioccolata, benzina e qualsiasi cibo piccante. Anche l’aborto è illegale, ma lo è pure la gravidanza, se non si ha una licenza”. Scopriremo in seguito che anche il sesso è stato bandito, se non nella forma di un collegamento neuronale attraverso una macchina. Infine, ci viene detto che anche a Spartan è stato installato un chip sottocutaneo (come si poteva intuire dal fatto che il sistema per le multe anti-volgarità lo riconosce, da cui la famosa scena che citavamo all’inizio), ma l’uomo del vecchio millennio evidentemente non apprezza tutte le comodità che questo porta, poiché definisce il tutto come “cazzate fasciste che mi fanno venire voglia di vomitare”. E questo, credo dovrebbe spingerci ad una riflessione su quanto cambiano i tempi.

 

Verso la metà della pellicola, apprendiamo anche che nella “società della perfetta armonia” di San Angeles esistono ancora gli emarginati e i rinnegati, nella forma di uomini e donne che hanno rifiutato (o magari ne sono stati esclusi, non lo sappiamo) la sterilizzata società del 2032. Se li confrontiamo con i guerriglieri del 1996 che abbiamo visto all’inizio del film, anche qui il film ci pone di fronte ad una riflessione implicita, ovvero che anche chi risulta escluso da una società, nondimeno ne è in qualche misura il prodotto e la conseguenza. Se Phoenix era un ragazzo che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa in condizioni diverse, gli esclusi e gli indesiderabili del 2032 si sono rifugiati sottoterra, unico posto in cui il tracciamento satellitare non funziona, dove hanno creato una società tribale e anarchica, dove gli abitanti di San Angeles li hanno relegati, scacciandoli a vista e lasciandoli a morire di fame. 

Il fattore estetico scelto per rappresentare questi reietti suggerisce fortemente l’idea di un gruppo barbarico, eppure se consideriamo lo scarsissimo livello di predisposizione alla violenza della polizia di San Angeles e il dato sui sedici anni senza omicidi, non possiamo fare a meno di realizzare che, salvo assaltare i camion carichi di cibo destinati ai ristoranti della superficie per non morire di fame, evidentemente anche questi anarchici hanno completamente perso qualsiasi pulsione alla violenza eversiva. Hanno forse un istinto suggerito dalla loro condizione disperata, ma non sono in grado di trasformare questo in un atto eversivo che distrugga la campana di vetro che avvolge la società di superficie. Di questo fatto, una delle poche cose che Demolition Man lascia sottintendere senza dirlo apertamente, non si è accorto il dottor Cocteau (Nigel Hawthorne), l’architetto e il creatore della società di San Angeles, che scopriamo avere organizzato la fuga e l’addestramento subliminale di Phoenix (da cui le sue conoscenze informatiche), proprio con lo scopo di utilizzarlo come sicario con cui eliminare il “leader” degli anarchici del sottosuolo. Cocteau, infatti, teme che un giorno possa verificarsi una rivoluzione, ma è in effetti egli stesso vittima del sistema che ha creato: nonostante abbia avuto l’accortezza di condizionare Phoenix affinché questi non possa fargli del male, preso nella sua arroganza e superiorità considera il criminale come uno stupido e un servo, non rendendosi conto che questi lo ha effettivamente ingannato. Con la scusa di avere bisogno di aiuto per eliminare gli anarchici, Phoenix riesce a far scongelare alcuni dei suoi vecchi collaboratori, a cui semplicemente ordina di eliminare il dottore. 

E poi un sacco di Hollywood

Sì, perché Demolition Man, dopo aver dato un inquadramento così fenomenale di un futuro distopico, forse per problemi di tempi e budget, forse per motivazioni commerciali, da un certo punto in poi comincia a collassare su sé stesso, lasciando in secondo piano gli aspetti distopici e interessanti a fronte di una logica poco sviluppata e di scene di azione piuttosto lineari. Non manca nemmeno la marketta semi nascosta, rappresentata dalla Mustang del ’77 che sfonda il moderno concessionario di macchine dal design vagamente giapponese… Il tutto declinato in una sparatoria più scazzottata finale tra Stallone e Snipes che ha luogo nella prigione criogenica, e vede il primo uccidere il secondo. Alla fine del film, vediamo l’incontro tra il capo della polizia di San Angeles e il leader degli anarchici, ma nessuno dei due sembra avere davvero idea di quale sia il futuro che attende la società ora che il dott. Cocteau è morto, e Spartan suggerisce di prendere per buona una via di mezzo tra le opposte visioni del mondo. Insomma, un finale davvero deludente e stringato, che stona notevolmente con la narrazione incredibilmente distopica, e dal nostro punto di vista evidentemente profetica, che viene fatta filtrare fino a circa ¾ della pellicola. Ma, nonostante questo difetto, rimane sicuramente un film che vale la pena vedere, apprezzare e tramandare, che può fungere da punto di partenza per delle interessanti riflessioni. Il che è probabilmente il motivo per il cui è quasi sparito dalla circolazione.