Di Andrea Giumetti
“I marziani adorano Kuato, per loro è anche meglio di George Washington!
E allora fatelo fuori, no?”
Non sarebbe una rubrica dedicata ai flim action distopici, se non si parlasse del governatore della California preferito da tutti, Arnold Schwarzenegger. L’ex campione di body building è forse ricordato principalmente per il suo ruolo in Terminator, ma in realtà tra la metà degli anni ’80 e gli anni ’90 recitò come protagonista, e in effetti con degli ottimi risultati, in una serie di film di fantascienza action il cui spessore di trama è tutt’altro che trascurabile; e infatti sono tra quelli che il piccolo schermo e le maggiori piattaforme di streaming tendono a non riproporre. Tra questi possiamo ricordare, oltre allo stesso Terminator (per quanto a mio giudizio l’unico film del franchise che possa essere considerato pienamente distopico è il terzo capitolo, dove assistiamo alla nascita di Skynet), anche Il Sesto Giorno, film del 2000 e, per l’appunto, Atto di forza (Total Recall).
La pellicola nacque come adattamento cinematografico di un racconto di Philip K. Dick, sulla base di una sceneggiatura originale scritta da Ronald Shusett e Dan O’Bannon, che si erano aggiudicati i diritti dallo stesso Dick, ma venne rimaneggiata ben 43 volte prima di essere approvata. Il motivo della gestazione insolitamente lunga e travagliata fu una ripetuta difficoltà nel trovare finanziamenti, per cui ci furono diversi passaggi, tra cui anche un tentativo della De Laurentiis con Cronenberg come responsabile per la sceneggiatura che inevitabilmente finirono in un nulla di fatto. Alla fine, fu grazie allo stesso Schwarzenegger se il film riuscì a vedere la luce: l’attore era infatti molto interessato affinché il film vedesse la luce, e al momento della deflagrazione delle aspirazioni cinematografiche mondiali della De Laurentiis, fu proprio lui a trovare un produttore disponibile, arrivando anche a limitare il proprio cachet, in favore di una percentuale sugli incassi. A chiudere le fila della sceneggiatura, siglandone la bozza finale, furono Gary L. Goldman, ma sopratutto Paul Verhoeven, da noi già citato parlando di Starship Troopers.
Il risultato di quest’odissea narrativa fu un film che per la prima parte seguiva il tracciato del racconto Memoria Totale di Dick, ma poi lo declinava maggiormente verso la fantascienza, introducendo una veste grafica di grandissimo impatto che colpì grandemente gli spettatori di quegli anni, diventando anche ispirazione per molti film futuri, ma che per molti aspetti è invecchiata anche molto bene, non ultimo perché il film usa poca CGI e molta cinematografia. La colonna sonora del film, composta da Jerry Goldsmith, è particolarmente ricca e va a completare superbamente il girato, prendendo abbondantemente ispirazione dal lavoro di John Williams. Ascoltando i brani si passa dallo spazio profondo fuori Tatooine alle scazzottate di Indiana Jones contro i Nazisti, ma con un tocco personale di onirico e di spy story, il che è molto appropriato al film. La colonna sonora conta 52 traccie audio, e tuttavia quasi nessuna di queste suona ripetitiva con le altre, il che è un risultato decisamente notevole. Probabilmente, la colonna sonora chimerica è dovuta anche ai famosi cambi di sceneggiatura, anche perchè Cronenberg avrebbe voluto rendere il film: “I Predatori dell’Arca Perduta nello spazio”. Il gioiello della colonna sonora è il brano di apertura nei titoli di testa del film, una composizione molto energica e forte, per altro riutilizzata dalla Blizzard come tema di Orgimmnar per il MMORPG World of Warcraft, che effettivamente potrebbe essere il motivo della scelta del bizzarro titolo italiano del film. Prima di andare avanti, un chiarimento. Esiste un film del 2012 con lo stesso titolo inglese, e una crasi dei due (Total Recall – Atto di Forza), che tuttavia non ripercorre né la trama del racconto di Dick, né tantomeno quella di questo film, e che a dire il vero, ricalca la massima per cui le nuove riproposizioni di vecchi capolavori sono più che altro esecrabili atti di necromanzia…
La trama, spoiler free?
Onestamente è difficile parlare di questo film evitando di rovinare qualche sorpresa, ma a fronte di questo c’è da considerare che la pellicola va a collocarsi, con tutta la dignità che questo gli merita, tra quei film giocati sul paradosso, in cui la verità dietro la trama non è rivelata. Mai.
Dunque, il protagonista interpretato da Arnold si chiama Douglas Quaid, ed è un operaio edile che sulla terra ha problemi a dormire e di attenzione a causa di incubi ricorrenti riguardo al pianeta Marte. L’incubo che lo perseguita più spesso ha come protagonista Schwarzenegger e una donna che passeggiano in tuta spaziale sulla superficie del Pianeta Rosso, lui ha un incidente, e rompe il casco della tuta, soffocando atrocemente mentre la donna guarda impotente. Il film è ambientato in un distopico 2084, ma per quello che riguarda la Terra in sé, non viene poi raccontato o mostrato molto di particolarmente rilevante; per Marte, invece, il discorso è molto diverso, ma ci arriveremo in seguito. Insomma, Quaid ha questo ossessivo desiderio di viaggiare sulla colonia umana del Pianeta Rosso, ma non può permettersi il costo del biglietto per la traversata. Quello che può permettersi, però, è una seduta di trattamento alla Rekall Inc. una società terrestre che è in grado di impiantare nel cervello dei soggetti falsi ricordi, garantendo quindi ai clienti di poter vivere dei veri e propri sogni ad occhi aperti, indistinguibili dalla realtà. L’offerta che Quaid sottoscrive si chiama “Cieli Azzurri su Marte” ed è un pacchetto esperienza che lo trasformerà in un agente segreto, implicato in un caso riguardante dei manufatti alieni su Marte. Il paziente viene sedato e collocato sul macchinario per l’innesto. E da questo punto in poi il film si presta ad interpretazione soggettiva.
Quello che noi vediamo è che la procedura viene interrotta perché il soggetto sarebbe già stato sottoposto ad un innesto di ricordi in precedenza, avvenimento pericoloso per la salute celebrale, per cui i responsabili della Rekall decidono di cancellare la sua memoria a breve termine e caricarlo su un taxi, spedendolo a casa. E da quel momento, tutti cercano di uccidere Quaid che, grazie ad una valigetta lasciata “da sé stesso” a una persona terza, scopre effettivamente di essere un agente segreto con legami con la resistenza su Marte. Il resto lo lasciamo alla visione, ma quello che bisogna fare notare è che, merito assolutamente impressionante di questo film, non si è mai sicuri del tutto che quello che si sta vedendo sia uno sviluppo della realtà, oppure parte dell’esperienza della Rekall, sopratutto perché il film termina proprio con dei fotogrammi dei cieli azzurri su Marte. Ma si sono davvero venuti a creare, oppure Quaid è ancora comodamente seduto, attaccato ad un impianto neuronale della Rekall?
Elon, sei tu?
Come dicevamo, la parte dove la distopia del film si esprime maggiormente è quella dove ci viene presentata meglio la società che si è costruita su Marte. Innanzitutto, scopriamo che la colonizzazione del pianeta è stata portata avanti da un società privata, o che comunque l’amministrazione è stata sostanzialmente privatizzata. Su Marte la popolazione vive in Habitat ricavati da enormi cupole artificiali e da caverne e tunnel scavati per alloggiare impianti modulari e un sistema di ventilazione che filtra l’anidride carbonica e pompa ossigeno. Vive, ma in effetti la maggior parte della popolazione sopravvive, poiché il pianeta-compagnia ha una società rigidamente stratificata, in cui, chi non appartiene alla dirigenza corporativa, è un impiegato della sicurezza planetaria, oppure impiegato direttamente o per i servizi nell’industria mineraria del pianeta. Le tasse, nemmeno a dirlo, vanno tutte a riversarsi nella compagnia, che in cambio eroga i servizi fondamentali, tra cui il più prezioso è l’aria stessa, e quando un settore è indietro con le quote, senza troppi scrupoli si riducono le prestazioni del sistema di ventilazione. Sul fondo della piramide sociale della colonia, ci sono i mutanti, i discendenti dei primi coloni del pianeta, che dopo essere stati esposti alle radiazioni e all’ossigeno riciclato, hanno prodotto progenie dotata di poteri psichici, ma anche affetta da terribili mutazioni e deformità. Non sorprenderà che tra i più miserabili abitanti del pianeta si sia creata una resistenza, il cui leader è Kuato, e il cui scopo è rovesciare lo status quo, lavorando affinché sul pianeta sia disponibile per tutti la principale risorsa che la compagnia controlla per tenere in scacco tutti: l’aria.
Come fare a realizzare questo piano? Ovviamente bisogna creare un’atmosfera su Marte, emettendo grandi quantità di ossigeno su Marte. Il metodo scelto, di nuovo senza fare grossi spoiler, è sfruttare una reazione nucleare per sciogliere enormi quantità di ghiaccio (al tempo del film non si sapeva della presenza delle calotte polari su Marte, per cui il ghiaccio è immaginato in una sorta di oceano sotterraneo congelato) e rilasciare quindi l’ossigeno. Se sembra familiare, è perché in effetti nel nostro sciagurato 2024, l’idolo dei tecnici e delle borse di tutto il mondo, Elon Musk, vuole creare una colonia umana su Marte, e pensa di crearvi un’atmosfera proprio nuclearizzando le calotte polari del pianeta.
Il film, dunque, al netto della sua indiscutibile qualità artistica e cinematografica, nondimeno va a anche ad incastonarsi perfettamente in quel cinema distopico, travestito da action, che come dicevamo ebbe negli anni ’90 una grande stagione. La chiave della critica sociale del film sta sostanzialmente in due elementi: uno è il classico (ma purtroppo sempre attuale) “diffidate delle aziende” che è esemplificato dalla mercificazione dell’aria respirabile; l’altro invece è più profondo, ed è espresso nel momento in cui Quaid sta decidendo se sottoporsi o meno alla procedura della Rekall. La società ha degli addetti al marketing che insistono fortemente, e con grande abilità, su alcuni tasti nella produzione del loro prodotto “relax e tempo libero”: l’esperienza virtuale della Rekall è infatti promossa come “reale quanto qualsiasi altro ricordo”, ma ancora di più, migliore. Il venditore fa notare a Quaid che è molto più sicuro sottoporsi alla procedura (che in alcuni casi degenera in una lobotomia) piuttosto che affrontare uno qualsiasi dei possibili pericoli legati ad un’esperienza reale. E non solo, il virtuale è anche più comodo, perché viaggiare “è una rottura di palle, ti capitano bagagli smarriti, tempo da cani, tassisti disonesti… quando viaggi con la Rekall, tutto quanto è perfetto”.
Il rinnegamento del reale ha poi la sua apoteosi quando l’addetto marketing tenta di vendere un pacchetto di optional (proto easter egg della Paradox Developement?) con la motivazione che, tutto sommato, il problema delle vacanze di Quaid è stato il fatto che era sempre lui, sempre la sua personalità. Invece, la Rekall consente di prendere una vacanza da sé stessi attraverso il “Viaggio nell’Ego”, l’ultimo grido nel settore del turismo. Sebbene l’aspetto della simulazione controllata sia effettivamente una procedura psicologica che porta indubbi benefici mentali e sociali all’individuo, come è stato dimostrato analizzando le dinamiche dei giochi di ruolo, nondimeno resta il fatto che qui si sta facendo un’elegia del virtuale a scapito del reale, rovesciando la prospettiva: sentendo il dialogo del venditore della Rekall, sembra implicito che egli stia affermando che il problema, ciò che va rinnegato, non è l’artificiale, ma piuttosto la realtà.
Tenendo conto che gli anni ’90 sono stati il decennio che ha aperto la strada al passaggio dall’analogico al digitale, la cosa evoca delle ombre piuttosto sinistre sull’intera scena.