Di Giulio Moscatelli
Che cosa divide un bandito da un grande statista? È una battuta sorta in ambito marxista, ripetuta fino ai nostri giorni.
Se andiamo ad esaminare i fatti compiuti non troveremo grandi differenze; almeno nella grande storia: L. Violante se la pone riguardo il più illustre protagonista della storia Romana, Augusto. Fu spietato, soprattutto da giovane, quando le circostanze lo chiedevano; a maggio del 44 a.C., l’anno terribile dell’uccisione di Cesare alle Idi di Marzo – lui allora si chiamava già Ottaviano perché adottato da Cesare – si mise a reclutare un esercito privato, con un’iniziativa personale e a spese proprie (“exercitum privato consilio et privata impensa comparavi“, è lui a parlare), all’età di 19 anni! Praticamente un ragazzino golpista, un eversore, nessuna legge glielo permetteva. Cominciò da tremila soldati, arruolati con i primi soldi dell’eredità di Cesare che però l’esecutore testamentario, Antonio, gli rilasciava col contagocce. Ma era inquieto per questa mancanza di legittimazione fino a che il 1° novembre, con una giravolta sorprendente, offre il suo appoggio ai repubblicani (e cesaricidi) per ottenere la potestas pro-pretoria per il 43; finalmente respira. Il prezzo? Lui, il figlio di Cesare, corre in aiuto dei suoi uccisori.
Secondo episodio. 43 a.C., guerra di Modena, ove si scontravano formazioni paradossali: gli uccisori di Cesare e le forze repubblicane da una parte – cui recava rinforzo il novello Cesare Ottaviano; contro, dall’altra, il cesariano più stretto, cioè Antonio: tutti e due i consoli, Vibio e Pansa, muoiono nell’assedio; vi fu chi sospettò allora, e sospetta ancor oggi, che Ottaviano non fu estraneo a quelle morti assai dubbie. Come il leone che divora i cuccioletti di altro padre per potersi riaccoppiare con la femmina spodestata, egli liberò i posti da console che erano occupati, pensando a sé. Un’ombra inquietante.
Altra giravolta: in estate rompe i rapporti con il partito della legittimità senatoria, marcia armato su Roma, depreda il tesoro di Stato, indice i Comizi elettorali e si fa eleggere (in modalità illegale, ovviamente) Console[1]. A novembre, accordandosi con Antonio, si fa cooptare nei poteri triumvirali con una legge ad hoc (Legge Titia), legittimazione stavolta corretta. Questo che i moderni chiamano il Secondo Triumvirato (Ottaviano, Antonio e Lepido) viene festeggiato con un banchetto tra i tre, mentre stilavano le sanguinose proscrizioni in cui perse la testa anche Cicerone (a cena, con nonchalance, il giovinetto Ottaviano approvò l’uccisione del vecchio senatorio che l’aveva inizialmente protetto).
Nel 42 ci fu lo scontro decisivo tra gli uccisori di Cesare (Bruto e Cassio) e i Cesariani (Antonio e Ottaviano), fu Antonio a vincere e a salvargli la vita in una giornata in cui Ottaviano rischiò di farsi catturare e uccidere da Bruto.
Avrebbe dovuto dimostrargli gratitudine ad Antonio, ma nel sangue del giovine non c’era posto per i sentimenti.
Nel 40, per dimostrare di che panni vestisse nella disputa per la redistribuzione delle terre ai veterani, assediò il fratello di Antonio a Perugia (Bellum Perusinum) e dimostrò tutta la sua asprezza in una vendetta senza quartiere in cui Perugia fu distrutta.
Nel 34 a.C. si rifiutò di aiutare Antonio nella campagna contro i Parti, provocando in tal modo la fine del Triumvirato e l’inizio dell’ulteriore sanguinosissimo scontro dell’ultima guerra civile (Azio, 31 a. C.).
Con la sconfitta di Antonio e Cleopatra rimase così sulla scena solo un attore: Gaio Giulio Cesare Ottaviano (poi nel 27 Augusto).
Abbiamo così elencato una serie di comportamenti: alcuni illegali, altri spregiudicati, altri ancora spietati. E dunque, si configura solo l’immagine del “bandito”? O ci fu dell’altro, in termini di ideali, programmi, finalità ultime?
Anche i più critici non possono negare la sua tenace insistenza nel ricercare sempre una condizione di “legittimazione costituzionale”, secondo la sua concezione intimamente convinta che la forza da sola non potesse bastare in una società evoluta come quella romana (fondata sulla tradizione vincolante delle leggi).
Non è vero che la “restaurazione augustea della Repubblica è soltanto un trucco… è un fatto serio e vero”[2].
La conferma che assieme al “bandito” c’era qualcos’altro ci viene dalla sua confessione alla fine della sua vita, dove si scopre che il bandito ha sempre convissuto con lo statista e – alla luce della conferma storica – del “grande statista”!
“Spero che mi sia consentito di lasciare lo Stato sano e salvo e che il frutto di ogni mio sforzo mi veda, alla mia morte, essere riconosciuto come inventore della migliore forma di Stato possibile e di portare con me la speranza che le fondamenta dello Stato che ho gettato rimarranno salde[3]“.
Senza questo intimo ideale sarebbe rimasto solo il bandito.
Sta tutta qui la differenza. E non è affatto poco.
[1] Il 19 agosto, data destinale per lui che morirà molti anni dopo nello stesso giorno.
[2] Da una lectio di L. Violante circolante in rete.
[3] Da Svetonio, Vita di dodici Cesari, Vita di Augusto.