Di Giuliano Maranga
Tornare ancora a parlare di Enrico Mattei è fondamentale, toglierlo dai cultori del piagnisteo e dell’Italia debole, sconfitta, umiliata è altrettanto importante dato che abbiamo in Mattei la fonte più alta di ispirazione nazionale in seguito alla sconfitta militare del 1945.
L’11 agosto 1955, due anni e mezzo dopo la legge istitutiva dell’ENI, un dossier spedito da Lester Simpson, capo dell’intelligence americana (CIA) a Roma, sosteneva che Mattei fosse un “falso partigiano”, in realtà si trattava di un fascista integrale mai pentito né rinnegato. Fascista non solo durante il regime del Duce ma anche dopo l’8 settembre 1943; Mattei si sarebbe quindi poi dovuto “comprare il grado di partigiano” dalla DC in quanto eccezionale manager di primissimo piano, perciò utile all’Italia sconfitta; manager però di uno stato formalmente repubblicano e antifascista vincolato di fronte alle due potenze vincitrici (Unione Sovietica e Stati Uniti). Nel dossier statunitense era scritto che, “quando era diventato chiaro che la vittoria degli Alleati era certa, Mattei aveva pagato cinque milioni di lire ad un importante leader partigiano della DC per ottenere il titolo di capo partigiano della DC e il grado di generale della Resistenza nel CLN”. Mattei avrebbe dunque pianificato di continuare la strategia nazionale fascista – né Usa né Urss – come era possibile farlo dopo la sconfitta militare dell’aprile 1945.
Quando nel dicembre del 2022 il cablogramma fu desecretato in Italia vi furono reazioni contrastanti ma in realtà già Giorgio Galli, il noto politologo antifascista e di sinistra, autore degli scritti e delle biografie più significative su Mattei, era sostanzialmente pervenuto alle medesime conclusioni. Approfondire le opere di Galli su Mattei rende infine secondario dare una importanza decisiva al cablogramma della CIA, dato che tali conclusioni sono ideologicamente giustificate e onorano la figura storica di Mattei nazionalista eroico italiano caduto per un Ideale. Infatti, pur senza aver evidentemente avuto accesso a questi dossier della CIA, Galli in alcuni suoi libri e in alcune sue interviste dei primi anni duemila, stranamente passate sotto silenzio dalla critica, sosteneva come Mattei ad un anno esatto dall’omicidio di Mussolini assieme a vari reduci “repubblichini” fascisti avesse fondato una sorta di cenacolo interno denominato “fedeli guardiani del Duce”, con l’intento di continuare la politica nazionale, mediterranea e mediorientale, del regime; e affermava senza mezzi termini che studiare il conclamato periodo partigiano di Mattei riservava “qualche sorpresa” al ricercatore, dato che il nome di Mattei presunto partigiano antifascista era sistematicamente dimenticato nelle stesse opere di Enrico Massara (fondatore dell’Ist. Storico della resistenza di Novara Verbano Ossola):
“È clamoroso che in un’accurata storiografia pubblicata negli anni Ottanta, Mattei venga sistematicamente dimenticato mentre, morto Di Dio, il solo vero eroe della resistenza democristiana appare …Eugenio Cefis…”
(Cfr. Enrico Mattei: Petrolio e complotto italiano, Padova 2005, p. 366).
Galli, in varie parti delle sue ricerche su Mattei, si chiedeva pure come fosse possibile che un presunto leader partigiano e antifascista della DC appena giunto alla guida dell’ENI puntasse immediatamente a reintegrare nell’ENI migliaia di volontari fascisti “repubblichini”; suo pilota personale, unico di cui Mattei peraltro si fidasse, era Irnerio Bertuzzi, asso della Repubblica Sociale Italiana che morì con lui il 27 ottobre 1962 a Bascapè. Ma a parte questi fatti empirici o di cronaca, la parte più significativa della ricostruzione che Galli fa della via statale e geopolitica nazionalista e antagonista di Mattei è proprio quella dedicata alla ideologia del presidente dell’ENI. Galli identifica esplicitamente la cosiddetta svolta di Mattei dell’ottobre 1957 con una continuazione della crociata di Mussolini del sangue contro l’oro, ovvero della necessaria lotta dei popoli e delle nazioni povere di materie prime, destinate all’estinzione o peggio ancora alla straziante tragedia dell’inedia, contro le élite massoniche e plutocratiche mondiali. Una sorta di mussoliniano “complotto demoplutogiudaicomassonico” riadattato al nuovo contesto dal presidente dell’ENI. Scrive appunto Giorgio Galli:
“È da questo momento (dall’ottobre 1957 quando, con la sua élite dell’ENI, lancia la Nuova Sfida Italiana al mondo, Ndc) che Mattei trasforma la sua iniziativa competitiva e concorrenziale in una sorta di crociata dei popoli poveri contro i popoli ricchi. L’espressione più elementare di questa nuova posizione di Mattei è contenuta nella celebre intervista televisiva nella quale egli paragona la situazione dell’Italia… alla condizione del gattino che cerca invano di avvicinarsi a una ciotola di latte, dalla quale grossi e ringhiosi gattacci lo cacciano a zampate… Questo linguaggio di Mattei – rarissimo in una figura di primo piano dell’establishment al potere nell’Italia degli anni Cinquanta – suscitò molte critiche, come se al tono di altri tempi (“si sbagliano se credono di fiaccare la nostra volontà”) si accompagnasse, con la esortazione all’“indipendenza italiana”, quasi un auspicio del ritorno all’Autarchia. Il presidente dell’ENI venne accusato di voler sovrapporre le iniziative dettate da questo nazionalismo alla politica estera italiana decisa dal governo e approvata dal parlamento… Mattei ritenne dunque di poter sostituire una intera classe politica nel realizzare iniziative che, a suo giudizio, tutelavano gli interessi nazionali italiani; pretese di poter trattare direttamente con altre nazioni e persino con l’URSS; ritenne, in politica interna, che spettasse a lui ottenere un consenso che andasse dai settori fascisti al partito comunista.
(G. Galli, La Sfida Perduta, Milano 1976, pp. 148-150)
La campagna propagandistica dell’ENI è ricondotta essa stessa da Galli al populismo nazionale fascista, che costituisce la “caratteristica culturale del presidente dell’Eni” (Cfr., Ibidem, p. 133). Quando non possiamo invece continuare a seguire Galli è allorché ci parla di una errata impostazione “dell’ambito politico” di Mattei che lo avrebbe reso anacronistico, megalomane statista di una grande Italia (Cfr., Ibidem, p. 187). In realtà la lezione strategica di Mattei nella dimensione del peso globale italiano e della sicurezza nazionale mediterranea è a nostro modesto avviso ben più viva oggi di ieri; essa non vive solo nella rivolta “nazionalista”, populista e antiglobalista che sta caratterizzando questa fase storica occidentale ma anche, e forse soprattutto, nella direzione strategica filorussa (dunque filotrumpiana), mediterranea, ma non per questo antieuropea o antioccidentale, che sempre più ampie frazioni di elite di stato (tra cui settori di ENI e LEONARDO) e di borghesia industriale vorrebbero dare in modo duraturo e “professionistico” alla nostra Nazione; nella prospettiva di una futura Italia che torni sicura di mezzi e fini a saper esercitare quella capacità di guida culturale e geopolitica che ha esercitato negli anni di Mattei, che era definito dal Foreign Office “un manager tosto con notevoli ambizioni politiche… un uomo potente e assai pericoloso”.