Di Borel
Ernst Nolte è uno dei pochissimi pensatori contemporanei che si è posto seriamente il problema della natura del fascismo. Gli storici marxisti e quelli di approccio storicista non presero seriamente la questione, come ebbe a rilevare Del Noce nel 1960. La domanda: “Che cos’è il fascismo?” può sembrare banale, ma apre ad una serie di problematiche storiche, filosofiche e morali che ci riguardano in modo profondo.
Se ci limitiamo alla lettura del fascismo come dittatura non ne comprendiamo la specificità, perché lo sono state, ad esempio, anche quelle comuniste, quelle giacobine, bonapartiste o gli stessi sistemi istituzionali occidentali dei nostri giorni in epoca pandemica, intenti all’esecuzione del “modello Cina”. Se lo connotiamo come fenomeno puramente storico e prettamente italiano non si spiega la sopravvivenza ideologica in altri “fascismi” europei-americani e anche asiatici e ibero-americani.
Dunque non è ininfluente provare a darne una definizione che risulti essenziale. Secondo Nolte il Fascismo si
connota come “antimarxismo integrale che tenta di distruggere l’avversario mediante l’elaborazione di una ideologia radicalmente contrapposta eppure limitrofa, e l’impiego di metodi quasi identici eppure dalle caratteristiche proprie, sempre però nei limiti insuperabili dell’autoaffermazione dell’autonomia nazionale”.
L’elemento cruciale di questa definizione sta nel leggere il fascismo su di un prius logico, quello del marxismo o della rivoluzione mondiale. Perciò non semplicemente “alternativa nazionale” al marxismo (Del Noce 1960), ma una continuazione della tradizione del pensiero controrivoluzionario di Burke, de Maistre, Bonald e dei vari eserciti storici anti-cromwelliani o anti-giacoabini. Va qui ricordato che, mentre quello di Mussolini è fascismo tout court, il nazionalsocialismo è definito radical-fascismo, come estremizzazione delle premesse del fascismo stesso alle sue istanze più radicali. Perciò Fascismo
italiano e Nazionalsocialismo, come il movimento nazionale romeno di Codreanu, sono reazioni antirivoluzionarie nell’accezione più densa del termine. Così Nolte definirà il Nazionalsocialismo: “Radicalfascismo, come ‘rovesciamento’ e ‘imitazione ostile’ del bolscevismo e perciò come figura estrema di quel ‘contro-partito di guerra civile’ che nell’Europa del primo dopoguerra dovette costituirsi movimento o partito…”. Perciò più di tutti ha messo in luce l’intimo legame tra realtà spesso ritenute troppo lontane, ma che hanno una natura comune, seppure in forme opposte.
La differenza si ha, nell’interpretazione filosofica noltiana, nel fenomeno fascismo come “resistenza alla trascendenza”.
“Trascendenza” qui è inteso in senso heideggeriano; Nolte essendo stato un allievo di Heidegger, come tendenza dell’uomo a superare la sua umanità verso una dimensione altra. È il “totalmente altro” che si esprime nel concetto di “finalità” in Marx e che lo porterà a vedere il comunismo come “volontà lontana” o “fede” di natura messianica; il Messia Rivoluzione totale e totalitaria. Allora Nazionalsocialismo e Fascismo sono stati attacchi alla trascendenza, in quanto il marxismo o ogni idea di Rivoluzione Messianica ne sono una espressione; si pensi al pensiero woke o gender dei nostri tempi, non a caso
assimilato nella logica rivoluzionaria o anarco-estremista dei cosiddetti antifascisti.
In questo senso noltiano nessuno più dello stesso Mussolini seppe precisare la sostanza irrazionalista e spiritualista di tale
“anti-trascendenza” quando ben oltre ogni progettualità geopolitica scrisse ne La dottrina del fascismo: “Gli anni che precedettero la marcia su Roma… si discuteva, ma – quel ch’è più sacro e importante – si moriva. Si sapeva morire. La dottrina… poteva mancare; ma c’era a sostituirla qualche cosa di più decisivo: la Fede”; altrove avrebbe scritto che solo il sangue sarebbe sacro e fecondo.
Da questo punto di vista, con espressione paradossale, il fascismo precede il fascismo; questo proto-fascismo, nella sua forma
più prossima, viene identificato da Nolte nel partito della estrema destra nazionalista dell’Action Française di Charles Maurras che è un punto di incontro tra il pensiero e la pratica controrivoluzionaria con la modernità del ‘900. Maurras è una personalità interessante per la coesistenza, nella sua persona, di un carattere controrivoluzionario e rivoluzionario, precisamente ravvisabile nell’affermazione “sono cattolico, ma sono ateo”. Ora, il bolscevismo aveva certamente un carattere rivoluzionario, che sfrutta lo strumento della guerra civile per l’attuazione dell’eguaglianza assoluta e collettivista come attualizzazione del “momento lontano” di un finalismo destinale che è congenito al marxismo-hegeliano. I caratteri essenziali della natura del marxismo sono infatti ritrovabili nei concetti di “lotta di classe” come guerra civile, “finalità”, “internazionalismo” e Mussolini li presenta chiaramente tutti, nei limiti dell’esercizio della sua professione, che non era quella di un filosofo sistematico ma di leader politico. Perciò Mussolini almeno fino al 1914 fu un marxista, e ne rappresentò una “scelta” che ha redento le ambiguità costituzionali del marxismo in una particolare interpretazione.
Ne Il Giovane Mussolini, testo che fu aspramente criticato, ma il cui valore venne riconosciuto da De Felice nonostante i suoi dissensi, Nolte ben spiega la vicinanza del pensiero di Mussolini a quello marxista, con l’inserimento di elementi della “filosofia della vita” bergsoniana e alcuni concetti chiave della filosofia di Nietzsche. Il giovane Mussolini esprime perciò una interpretazione originale del marxismo, ma la cui originalità non è sufficiente a collocarlo fuori da questa corrente. Nolte mostra dunque come anche il fascismo, e più ancora il nazionalsocialismo, abbiano questo aspetto rivoluzionario, che li accomuna ai movimenti a loro contrapposti, mostrando come la controrivoluzione abbia in sé elementi rivoluzionari e possa sfociare nella rivoluzione.
Hitler è in questo senso più accostabile a Maurras rispetto a Mussolini, proprio per la sua dinamica di imitazione-opposizione al bolscevismo, che lo rende un rivoluzionario, partendo da premesse controrivoluzionarie, soprattutto nell’imitazione di uno dei caratteri fondamentali del marxismo che è l’internazionalismo. Non a caso Nolte annovera il fascismo italiano ed il radical-fascismo tedesco tra le “dittature di sviluppo”, come lo fu a suo modo quella russa, imponendo una modernizzazione e una industrializzazione forzata, che in un numero esiguo di anni doveva compensare la potenza imperialista britannica. L’industrializzazione nata in Gran Bretagna nell’ambito del parlamentarismo produsse infatti un piano di competizione internazionale, che tendeva a sostituire la centralità della classe contadina e del settore agrario in favore di quello industriale.
Questa volontà di modernizzazione era certamente la base delle iniziative mussoliniane della battaglia del grano e della bonifica delle paludi pontine, con la differenza che il fascismo italiano non ha mai voluto eliminare la dimensione rurale, cercando di trascenderla in favore della grande industria, ma piuttosto di rinnovarla. C’è dunque un eccezionalismo italiano che lo distingue dal nazionalsocialismo, che non ebbe bisogno di modernizzare creando industria, dal momento che la
Germania aveva già una industria fiorente; si trattava solo di rimetterla in moto.
Ora, è da considerare che l’Unione Sovietica di Stalin non era affatto sganciata da questa volontà di modernizzazione. Hitler, però, percepiva quella modernizzazione come una forza rivoluzionaria occidentale. Vi è ora il passaggio, secondo una logica che Nolte identifica nel nesso razionale nazionalsocialista, per quanto estremizzato poi fuori da ogni logica, secondo cui dato che i principali attori della rivoluzione mondiale comunista erano ebrei e dal momento che numerosi ebrei erano gli organizzatori ed i fautori del bolscevismo, allora nella percezione di Hitler ogni ebreo sarebbe stato un “sovversivo” da combattere. Dunque anche la modernizzazione russa che ne conseguirà era per lui una potenza ebraica contro cui schierarsi, che avrebbe portato al declino dell’Occidente. Il fascismo radicale di Hitler trova questa radicalità proprio nel suo estremismo di metodi e concezioni. Hitler arriva a maturare il suo antiebraismo biologico in opposizione, ma anche in imitazione, al sistema stalinista.
Qui tocchiamo una tesi molto contestata, esposta da Nolte ne La guerra civile europea, 1917-1945, nazionalsocialismo e bolscevismo, secondo cui vi è un nesso più che di analogia tra i gulag ed i lager. Questo nesso va oltre la similitudine, ed arriva
quasi alla causalità, purché epurata dal carattere della necessità: il concetto noltiano sta nel fatto che se non vi fossero stati i gulag, Hitler non avrebbe concepito i campi di concentramento. Perciò una causalità non-storicistica, mediata dal mondo di pensieri di Hitler stesso. Questi pensieri erano guidati dalla fallacia logica per cui se gli autori della rivoluzione russa erano ebrei e l’espansionismo bolscevico andava fermato, allora andavano fermati gli ebrei tutti in quanto tali. Tale fallacia è chiamata da Nolte, con espressione greca, metabasis eis allo genos, cioè “il passaggio ad un altro genere”, errore che, se vogliamo, comprende il non sequitur ed il transitus de genere ad genus.
Allora l’antisemitismo di Hitler trova quel tanto di ragione storica che gli consente l’errore logico: che il Terrore Rosso nel ’19-’20 abbia avuto una terribile impressione sulla Germania, e che l’internazionalismo bolscevico fosse visto come una minaccia
seria che imponeva una reazione, è da ricomprendere nella ragione storica, che colloca così il caso Hitler fuori delle letture mitologizzanti (vedi il discusso articolo Il passato che non passa di Nolte). L’errore soggettivo di espandere la responsabilità ebraica ad un fatto razziale è, nello specifico, il torto logico, che porta storicamente alla condanna morale.
Va detto qui che Nolte distingue nettamente l’antisemitismo dall’antigiudaismo cristiano: i primi cristiani, in quanto giudei, dovettero distaccarsi dal giudaismo in un rapporto oppositivo, connaturato alla ovvia volontà di distinguersi come cristiani. È il rapporto di continuità-discontinuità, che Nolte vede in ogni nascita di movimento religioso, come nel caso degli Sciiti
dai Sunniti, a creare sua sponte l’antigiudaismo. Questo antigiudaismo però era su base religiosa ed aveva la caratteristica della mutabilità: con la conversione al cristianesimo non si era più giudei. L’antigiudaismo razziale va invece a far leva sugli aspetti immutabili quali l’etnia e le caratteristiche fisiche. Si entra perciò in un ambito nuovo che colloca il nazismo sulla scia di imitazione del comunismo sotto altro segno (“Proletari di tutto il mondo, unitevi” – “ariani di tutto il mondo, unitevi”).
L’universalismo sotto il segno ideologico del comunismo diviene nel nazionalsocialismo biologizzato ed etnicizzato, mentre Mussolini nel fascismo prototipico italiano assume più la dimensione della romanità politica “imperiale” e si oppone
al darwinismo biologistico hitleriano; Nolte nella parte centrale de I Tre volti… rileva perciò come la
sostanza del fascismo quale presunto anti-Risorgimento (concetto coniato da Salvatorelli) potrebbe aver
una sua ragione d’essere per il fatto che l’umanesimo nazionale fascista era associato al tentativo di
restaurazione dei valori sacrali ed eroici dell’uomo, valori azzerati e distrutti dalle rivoluzioni “moderne”. Perciò Nolte risponde a suo modo, originalmente e scientificamente, con una lettura filosofica e storica, ai
problemi del dibattito sulle teorie sul fascismo, in fermento già dal 1925: singolarizzante o generalizzante,
rivoluzionario o controrivoluzionario, moderno o antimoderno, progressivo o regressivo, episodio o
rivelazione.
Nolte vede in Mussolini la figura più rappresentativa della politica moderna e della guerra civile mondiale (Vedi Introduzione Il giovane Mussolini); l’unico che, dalla tirannia di Cromwell in avanti, con l’eccezione del Metternich, seppe storicamente assestare un colpo spirituale e storico mortale alla forza della Rivoluzione messianica globale. Scrive Nolte che Mussolini seppe nel concreto mostrare qualcosa che il mondo intero allora non prevedeva: “Che la rivoluzione poteva essere non solo sconfitta ma persino annientata”. (Vedi conclusione de Il Giovane Mussolini). Per Nolte, in questa dimensione, l’influenza di Mussolini sarebbe stata e sarebbe ben più forte dopo Piazzale Loreto dell’aprile 1945 piuttosto che nel Ventennio italiano, che farebbe parte di un dettaglio limitato e quasi secondario nella generale offensiva conservatrice radicale e controrivoluzionaria di “attacco alla trascendenza” messa in moto dal fascismo; subito dopo la sconfitta militare fascista, con gli accordi di Jalta e la unilaterale creazione sovietica Stalinista dell’entità sionista israeliana con il suo sogno social-comunista a base di
kibbutzim e di utopistica e antistorica deislamizzazione a base di pulizia etnica (Vedi L. Mlecin, Perché Stalin creò Israele), le ragioni ideologiche dei fascisti appena sconfitti tornarono immediatamente in primo piano.
In un profetico scritto dedicato al suo pubblico italiano, dato che in nessuna nazione del mondo come in Italia il messaggio di Nolte fu apprezzato e ben studiato, Sinistra e Destra. Storia e attualità di un’alternativa politica (1994), Nolte scrisse che non è mai esistita, né può esistere, una sinistra moderata, in quanto non sarebbe più sinistra, ma diventerebbe qualcosa d’altro: l’essenza della Sinistra è il concetto di Rivoluzione mondiale da attuarsi passo per passo con la violenza o con superficiale pacifismo tatticista; la violenza terminologica e dialettica che vedeva nella sinistra radicale culturale, già quando ne scrisse, si sarebbe tradotta per Nolte in una nuova forma di estrema sinistra universale basata sulla indistinzione collettivista a-nazionale, a-sessuale e, infine, a-umana più che post-umana o post-moderna; ciò inevitabilmente avrebbe prodotto una ideologia di difesa di Controrivoluzione di estrema destra. Dunque ogni slittamento verso la controrivoluzione di destra o la rivoluzione di sinistra
rappresentano una ideologia tale per cui sovversione e pianificazione della Storia si equivalgono.
Non senza dimenticare, d’altra parte, che il gran parlare che si fa in Occidente oramai da decenni e decenni di progresso materiale, diritti sessuali o erotici, evoluzione verso sempre nuove frontiere da esplorare, occulta in verità l’ideologia più reazionaria e regressivistica che probabilmente sia mai esistita. In questo senso una rivalutazione del pensiero di Nolte può essere utile a comprendere il presente.