Di Paola Kovalsky
Sono giorni molto caldi a livello mediatico e per quanto riguarda i temi di attualità nel nostro paese.
Sono due le notizie in particolare che hanno catalizzato completamente l’opinione pubblica.
La prima è la nomina di Elly Schlein come nuovo segretario del Partito democratico; la seconda riguarda la triste vicenda del naufragio a ridosso delle coste di Cutro, in Calabria.
Pur non potendo assolutamente affermare dei legami fra questi due fatti, provando a spingerci oltre la superficie delle cose, senza crogiolarci nell’impatto mediatico e emotivo di questa tragedia, potremmo facilmente renderci conto come anche il partito che dal 12 Marzo Elly Schlein si troverà a rappresentare, tramite delle maglie molto sottili ma non per questo meno potenti, abbia dei collegamenti con questa immane tragedia del mare.
È un discorso che può risultare certamente ostico e anche difficile da affrontare; bisogna essere cauti con le parole e non lanciare accuse con leggerezza e facilità, come del resto è stato fatto proprio in questi ultimi giorni.
Quando avvengono tragedie così grandi, tutti si sentono in dovere di dare la propria versione dei fatti e soprattutto la propria opinione, trascinando individui sul banco degli imputati con troppa superficialità, e spesso è anche “interessante”, lo scrivo rigorosamente fra virgolette, assistere da una parte allo sciacallaggio mediatico e politico, e dall’altra alla corsa al massacro da parte degli utenti del web nei confronti delle istituzioni, senza risparmiarsi nell’esternare le loro opinioni, del tutto sicuri e convinti su cosa andasse fatto o detto.
Questo avviene perché notizie di questa portata toccano a dismisura la sensibilità umana, ed è ovvio e normale che sia così. Sapere che un centinaio di esseri umani, donne, giovani uomini, minorenni e bambini, a pochi passi dalla salvezza, dopo giorni di tempesta in mare e di sofferenze intrise di paura e angoscia, si scontrano con un fatale destino trovando la morte in maniera così tragica e disperata, non può lasciare indifferenti. Nonostante una sempre più aridità d’animo dilagante, siamo ancora in grado di empatizzare con il dolore altrui, pur vivendo in un mondo cosiddetto privilegiato. Per quanto sia impossibile capire sul serio cosa possa succedere in situazioni simili, non avendole vissute o sperimentate, possiamo comunque provare a immaginare cosa voglia dire perdere la vita o i propri cari in situazioni disperate, senza l’aiuto di nessuno.
Dunque, queste notizie ci fanno indignare e ci fanno percepire con certezza il senso di una giustizia violata e calpestata e questo ci spinge a urlare la nostra idea in merito, a scagliarci contro quelli che secondo noi sono i responsabili di tanta sciagura. Stare dietro uno schermo, non dover assumere ruoli di comando o di gravose responsabilità, rende tutto più semplice e lasciarsi andare a mille tipi di sproloquio diverso, è la cosa più semplice e forse più umana che si possa fare. Tutti sembrano avere la soluzione a portata di mano, tutti si comportano e sbraitano come se sapessero sempre le cose giuste da dire e soprattutto le cose giuste da fare.
Purtroppo non credo che tutti coloro che si sentono spinti da un animoso senso di estremo altruismo o da spirito di salvezza, in situazioni del genere sarebbero in grado di intervenire con prontezza e decisione, facendo la cosa magari non giusta, ma migliore per il bene di quante più persone possibili, e questo ce lo dice il fatto che la stragrande maggioranza dei cittadini, e in questo non intendo dare giudizi o incolpare chicchessia, anche perché è la vita stessa che porta a comportarsi in una certa maniera, tende a voltarsi dall’altra parte, ad aspettare che sia qualcun altro a intervenire, a non rischiare in prima persona, se non in rari casi ed eccezioni. Come in altre circostanze, quando le situazioni non ci toccano da vicino, possiamo soltanto mettere sul gas l’acqua a bollire per il tè, sederci comodamente su una poltrona e dare fiato alla bocca.
Non sono qui per fare il processo alle intenzioni o alle persone e a quello che sarebbero o meno in grado di fare, sono qui per tentare di capirci qualcosa in questo fenomeno così intricato e complesso come quello dell’immigrazione. Tema che viene sempre spacciato come un qualcosa di molto semplice di cui parlare, fenomeno alla portata di tutti, da giudicare e maneggiare senza scavare a fondo delle sue maglie, senza analizzare tutti i fattori coinvolti. Un fenomeno esageratamente esposto al chiacchiericcio da salotto, che ha l’enorme potere di dividere la società in buoni e cattivi, vittime e carnefici.
Parlando di questo caso, non posso pensare che dei ministri al governo, così come dei presidenti e delle autorità preposte, possano aver liquidato la questione decidendo che in fondo si potevano lasciare in mare un centinaio o quante più persone, in balia del loro destino tragico, condannandole a morte certa.
In questi giorni è passato anche questo messaggio, portando la gente comune a pensare che al governo abbiamo un Ministro dell’Interno che lascia tranquillamente morire in mare della povera gente disperata e questo succede non solo perché i media hanno raccontato la notizia utilizzando determinati toni, ma anche perché è consuetudine pensare che se hai all’esecutivo un governo non di sinistra o centro-sinistra, è più facile che questi siano degli spietati fascisti con nessun rispetto della vita umana.
Tornando ancora più indietro, negli ultimi mesi tutto quello che è successo ci è stato dipinto e servito con espressioni drammatiche e con atteggiamenti di esacerbato sensazionalismo, e tutto ciò ha instillato nel cuore e nell’animo delle persone, una paura fortissima e immotivata nei riguardi di chi oggi siede al governo, oltre che a un’opinione aprioristicamente negativa, sempre faziosa, sempre parziale.
Volendo parlare in questi termini, dovremmo avere paura sempre di un esecutivo di governo, di qualsiasi colore esso sia, perché al suo interno vi troveremmo uomini e donne, come anche organismi, in grado di influenzare e dirigere completamente le nostre vite.
La sempre presente dicotomia destra/sinistra, viene alimentata e rinfocolata di continuo, e questo gioco, antico quanto il mondo, è ciò che più fa male a noi cittadini italiani tutti, perché ci divide sempre di più, mettendoci gli uni contro gli altri, finendo per disperdere del tutto quell’ultimo rimasuglio di spirito critico che eravamo riusciti con fatica a conservare, prima che la politica diventasse una questione da tifoserie allo stadio.
Onestamente è con molta difficoltà che si possono scorgere delle differenze fra destra e sinistra; di fatto sono facce diverse della stessa medaglia, voci all’interno di un coro che continua a ripetere le stesse cose, utilizzando magari linguaggi differenti e questo ci disorienta, oppure ci illude di avere sempre un’alternativa a portata di mano.
Entrando nel merito della vicenda, sono certamente gravi e lesive le parole di Piantedosi quando attribuisce alle madri e ai padri la responsabilità di queste atroci morti in mare. Un discorso che può facilmente essere pensato ma che non andrebbe mai esternato a voce alta, soprattutto non da parte di una figura istituzionale.
Coloro che affidano la vita e quella dei propri cari a spietati trafficanti di esseri umani sono sempre delle vittime. Vittime di un crudele mondo capitalista, del traffico umano appunto, della politica di destra come della politica di sinistra. Vittime di un sistema oliato e congegnato a puntino per depredare e sfruttare terre in via di sviluppo da spolpare all’osso, privandole e svuotandole dalla sua gioventù migliore, dalle nuove generazioni, dalla forza lavoro, da un futuro di autodeterminazione sociale.
In seno all’immigrazione ci sono delle norme e regole vigenti che spesso non vogliamo guardare, preferendo restare in superficie della questione, limitando il discorso all’ennesimo barcone stipato di esseri umani, che vanno certamente accolti e messi in salvo, non siamo delle bestie e tutti ci sentiamo con la coscienza a posto sapendo che i nostri porti sono spalancati sempre e comunque per questo tipo di imbarcazioni, senza sapere né chiederci da dove arrivino, chi ha fornito mezzi così tanto fatiscenti e disastrati, chi ha pagato quanto, quali politiche o quali traffici ci sono dietro le tratte di esseri umani, quali losche collaborazioni ci sono tra il nostro paese e altri paesi europei e quelli Africani o del Medio Oriente, e senza riflettere su che cosa possiamo davvero offrire a queste persone, siano essi migranti economici o richiedenti asilo e rifugiati politici o che fuggano da guerre e carestie varie, oppure alla semplice ricerca di una vita migliore e più dignitosa.
Il migrante economico, ad esempio, sogna l’Europa o l’Italia perché ne ha una visione distorta e perché parte da una situazione di svantaggio anche per colpa di nazioni che continuano a sfruttare il suo paese d’origine, e spesso queste nazioni coincidono con quelle che respingono gli immigrati ai confini con l’Italia, che non si assumono direttamente la responsabilità delle loro opere predatorie in determinati paesi, e ancora molto spesso queste nazioni sono governate da uomini di sinistra, da democratici, per meglio dire da liberali; gli stessi liberali che affollano i banchi del Partito democratico, dando ai suoi elettori l’illusione di avere a che fare con integerrimi uomini di stampo gramsciano solo perché dicono cose di sinistra; solo perché sanno dire la cosa giusta al momento giusto, nascondendo cumuli di polvere sotto il tappeto, e in caso, puntando il dito contro l’avversario politico di turno, sguinzagliando i propri elettori contro chiunque dissenta dalla corrente di pensiero vigente.
Ecco perché azzardare un collegamento, certamente pretestuoso, fra un certo tipo di politica, scioccamente e falsamente definita progressista, tra causa ed effetto nel resoconto di queste tragedie, non è un’eresia. Non lo è e non può esserlo, soprattutto se volgiamo lo sguardo al nostro recente passato.
Il patto bilaterale fra Italia e Libia, i finanziamenti alle cooperative che lucrano sui migranti e sulle loro vite, la richiesta sempre più incontrollata di manodopera da sfruttare e asservire, la sostituzione di corpi di salvataggio con le sempre più onnipresenti Ong, spesso di dubbia moralità, le intercettazioni che hanno inchiodato politici e attivisti, intenti a inneggiare al denaro conquistato e arraffato grazie alla tratta degli schiavi, perché di fatto di questo si tratta, sono tutte misure intraprese e situazioni scaturite da esecutivi non certamente di centrodestra. Ma dobbiamo subito guardare in faccia la realtà e affermare con convinzione che un esecutivo opposto non sarebbe stato in grado di fare di meglio, e non per un mero discorso ideologico o perché costituito da ministri e governanti peggiori di altri, semplicemente perché il fenomeno immigrazione non è un fenomeno del tutto spontaneo e, alla luce dei fatti, è ormai fuori controllo.
La politica, tutta, risponde a precise dinamiche di mercato, economia e geopolitica appunto, ma risponde anche ai messaggi inconsci che noi stessi mandiamo a chi ci governa.
Gli europei, gli stessi italiani, amano guardare a sé stessi come al paese della salvezza, dell’aiuto fraterno, della solidarietà, forse perché questo ci aiuta a mettere a tacere quella flebile vocina interiore che dice che siamo noi stessi a causare il male di chi proviene da paesi poveri.
Ecco perché bisogna fare uno sforzo, che non tutti vogliono fare, per capire quanto siamo pesantemente coinvolti in questo mare di ipocrisia e vuoto paternalismo. Sì proprio così, paternalismo. Ci piace sentirci la popolazione occidentale civilizzata indispensabile alla sopravvivenza di chi proviene dal sud del mondo, di chi non ha a disposizione un passaporto forte, con il quale ottenere un visto e un biglietto di viaggio su mezzi sicuri, lontano dalla tratta di esseri umani. Siamo convinti e certi di salvarli dalle guerre intestine ordite e finanziate da quelle stesse genti che impongono di accogliere in massa, che è prerogativa cristiana, che è un precetto cardine della sinistra che su questi temi, come sulla pelle degli ultimi, imbastisce da sempre la propria campagna elettorale.
Prima di urlare contro le istituzioni, che sicuramente hanno peccato e commesso errori da qualche parte, in questa triste storia, dobbiamo risalire fino alle fonti del problema, perché come si dice sempre, il naufragio è la punta dell’iceberg e l’accoglienza forzata non ha fermato, non sta fermando e non fermerà mai l’emorragia, anzi tende ad alimentarla e ad innescare la miccia di pericolose bombe sociali che finiranno per costituire un altro allettante terreno di gioco e scontro per qualcuno; insomma un gustoso tornaconto politico. Da ogni evento ne scaturisce irrimediabilmente un altro; pensare di risolvere la questione migranti con la faciloneria con cui se ne parla in giro, sui social e oltre, è delirante e indice di totale e assoluto scollamento dalla realtà.
Desidero concludere questo articolo con la citazione di un personaggio di fantasia.
«Tutti questi poveri che vengono sradicati dalle loro terre e inseriti nel substrato sociale europeo determinano soltanto una sempre più diffusa richiesta di beni, ma anche di posti di lavoro. E questo è il nocciolo vero della questione. I lavoratori nazionali vengono messi con le spalle al muro da una concorrenza sleale fatta di nuovi schiavi, disposti a lavorare per orari e paghe improponibili, spesso senza regolarizzazione, senza diritti, senza umanità. Questi stessi lavoratori non sono più in grado di rispondere alla legge del capitalismo che ci vorrebbe tutti produttori e peggio consumatori su ampia scala. Venendo a mancare i consumi si assiste a un’inutile sovrapproduzione. E cosa sono costretti a fare i grandi capitalisti e i produttori? Devono cercare altrove mercati non saturi, dove esistono milioni di potenziali consumatori ancora vergini, in quei Paesi in via di sviluppo che tanto amiamo sfruttare, dietro la falsa leggenda degli aiuti umanitari.
Qualcuno di voi potrebbe obiettare che questi nuovi consumatori sono molto poveri e non soddisfano il target richiesto. Qui interviene la globalizzazione trasformando le risorse in lavoratori affinché abbiano un reddito sufficiente per comperare le merci che l’impresa produce. Il mercato libero ci insegna che qualsiasi impresa può aspirare al massimo profitto con il minimo sforzo ed è per questo che oggi paghiamo in modo esagerato prodotti spacciati come di alta qualità, mentre invece sappiamo essere fatti con materiali scadenti, attraverso una manodopera sottopagata e senza diritto alcuno. Raccontiamo alle popolazioni che è nostro dovere morale e civile accogliere quante più persone possibili per salvarle da guerre, miseria e degrado e con questa favola demagogica, unita alla stupenda invenzione dei diritti umani, convinciamo tutti della genuinità del nostro operato. In realtà non salviamo proprio nessuno, importiamo manovalanza a basso costo, mettendo in difficoltà i nostri lavoratori e mandando al collasso il sistema economico mondiale. Non mi sembra difficile da capire; sto parlando la vostra stessa lingua e non mi riferisco a quella italiana ma a quella dell’imperialismo e del liberalismo…»
Da Tertium non Datur.
Può essere utile leggere il libro di Michelangelo Severgnini “L’urlo”