Di Giacomo V. Baldi
“L’Italia, bagnata anzi protesa nel Mare Mediterraneo, che ha interessi antichi e attuali, spirituali prima ancora che temporali, nel Medio Oriente, ha interesse sommo, primario e insostituibile a questo cuore geopolitico e geostrategico di civiltà…”
Aldo Moro (giugno 1970): a colloquio con il Ministro degli esteri israeliano Abba Eban
La monumentale ed epocale opera di Enrica Garzilli, Mussolini e l’Oriente, uscita per Utet dopo l’altrettanto monumentale biografia di Tucci, L’Esploratore del Duce, permette oggi di dichiarare definitivamente superate, nel perenne dibattito antifascista in corso, le varie correnti storiografiche dominanti riguardo al fascismo. E quella di De Felice, che vedeva nel fascismo un modello di mera modernizzazione della nazione su base socialdemocratica autoritaria; e quella di Nolte che vedeva nel fascismo un momento vincente nella fase di anticomunismo mondiale; e quella del neofascismo che vedeva un Duce artefice del processo storico di Europa nazione o quella di un Mussolini “socialista” quale semplice, burocratico sperimentatore della socializzazione economistica saloina.
Viceversa, l’unico coerente ideologo di Mussolini statista e uomo d’azione fu Berto Ricci, che a Salò tra l’altro non potè andare perché caduto prima – in battaglia – della fondazione della Repubblica Sociale Italiana; il fascismo non fu perciò – come ben sosteneva Ricci – un movimento nazionalista, europeista o meramente patriottico/risorgimentalista, ma fu di contro un movimento-regime Universalista e non imperialista o anche Cosmopolita che aveva ben compreso, molto più e molto meglio di nazismo, bolscevismo stalinista (per il trockismo il discorso sarebbe effettivamente diverso), imperialismo britannico, che la lotta autentica di lunga durata dei tempi moderni era e sarebbe stata rappresentata dal terribile e inevitabile Conflitto di Civiltà tra Oriente e Occidente.
Il Duce opera soprattutto per un processo di mediazione e moderazione globale con Roma mediterranea al centro nel conflitto di civiltà; nel momento in cui comprendeva come, per molteplici cause, tale processo non fosse possibile, egli sceglieva l’alleanza strategica con l’Oriente (Giappone e India) contro l’astratta trascendenza giudeo-cristiana illuminista o marxista-borghese occidentale. Mentre i vertici nazionalsocialisti operarono assurdamente, nel corso del conflitto, per tenere in vita l’Impero britannico e in parte anche quello francese, il Duce, primo fautore e noto finanziatore della Legione nipponica-indiana e dell’Indian National Army, dopo il crollo epocale dei bianchi britannici a Singapore per mano degli “eroici fratelli nipponici”, dichiarò quei giorni e quei momenti i più belli ed importanti di tutta la sua vita politica di statista; il Führer viceversa, pur formalmente alleato del Tenno nipponico, piangeva letteralmente a dirotto in quanto l’ultimo impero occidentale, guidato da Churchill, era in fuga ignominiosa sotto i colpi precisi e implacabili dell’Impero del Sol Levante, dell’Oriente risvegliato e sulla via dell’egemonismo mondiale. Il fascismo autentico dunque, quello di Mussolini, Berto Ricci, Mezzasoma, fu nient’altro che un atto strategico di sfida epocale – sconosciuta nella storia italiana se si eccettuano vere e proprie meteore come Savonarola o Giovanni dalle Bande Nere, e per molti versi eretica rispetto allo stesso Risorgimento europeista a cui formalmente ci si doveva richiamare durante il regime – al potere globale occidentale di tipo neo-illuminista, marxista o giudeo-cristiano.
Gli altri momenti, per certi versi la stessa fisima del cosiddetto Stato etico, stanno come fasi tattiche e contingenti al detto fine strategico. Al suo posto, al posto del fanatismo suprematista euro-occidentale, andava integrato nella dimensione internazionale un “ecumenismo mediterraneo”, una nuova centralità storica, politica, spirituale delle élite e dei popoli del Mediterraneo come la si conobbe nell’età classica e augustea. Ecumenismo necessario quale cerniera tra oriente e occidente.
Aldo Moro stratega mediterraneo e universalista
Sarebbe scontato tirare fuori ora l’Aldo Moro giurista e filosofo fascista che teorizzava la guerra mussoliniana o la mistica fascista del “sangue contro l’oro” come conflitto addirittura metafisico tra l’ideale corporativo fascista di giustizia sociale globale e i materialismi comunista/capitalista. C’è chi lo ha fatto sulle pagine del “Corriere della Sera” e rimandiamo dunque a quel saggio. Ciò che interessa, in tale sede, è viceversa rimarcare come sia Aldo Moro, sia Enrico Mattei, subito dopo il crollo del regime vollero nonostante tutto continuare la missione mediterranea di civiltà, l’antico sogno fascista Universalista del Mediterraneo cuore spirituale mondiale. Superando e sabotando sia le tendenze anti-nazionali bolsceviche filosovietiche (Enrico Mattei come noto fu anche tra i fondatori della Gladio nazionale non atlantista), sia quelle neo-atlantiste cattoliche andreottiane o fanfaniane.
Lo stesso cattolicesimo politico di Aldo Moro, di cui tanto si è parlato, non era proprio un guelfismo antifascista alla Andreotti o alla Fanfani o alla Cossiga, se è vero, come sappiamo, che il punto di riferimento moroteo, in tale ambito, era rappresentato da un marginale, solitario e periferico frate come San Pio da Pietralcina e se è vero, come è probabile, che la Santa Sede – come l’intera DC – nulla fecero per salvare la vita dello statista pugliese. Anzi, meglio ne predisposero la via della fossa. L’antifascismo di Aldo Moro statista d’Italia fu infatti esclusivamente formale, necessariamente dovuto alla sconfitta militare e al proliferare dell’antifascismo di massa, causato dall’occupazione americano-sovietica. Di ciò dovette dare conto, con onestà intellettuale, addirittura Pino Romualdi, un neofascista del MSI, che in una sua importante testimonianza (cfr. L. Battioni, Memorie senza tempo, Rende 209, p. 248) finì per legittimare la tesi di Moro stratega di un’Italia universalista e mediterranea, in netta controtendenza rispetto alla vulgata del Moro teorico del “compromesso storico”, “amico delle sinistre” e in evidente continuità con il regime fascista.
Aldo Moro ed Enrico Mattei furono coloro che, subito dopo il 1945, si imposero per mettere fine alle mattanze gappiste e comuniste verso i reduci repubblichini; fu sempre il premier Aldo Moro, con un commovente discorso alla Camera, a rendere omaggio allo scomparso Filippo Anfuso, parlamentare neofascista e fu, d’altra parte, lo stesso statista pugliese a recuperare, con il suo centro-sinistra, il modello fascista della scuola media definendo la pedagogia del regime un modello da non gettare via. La rinascita civile ed economica italiana non fu affatto frutto dell’antifascismo e della resistenza cattocomunista ma fu viceversa dovuta alla permanenza di una categoria di funzionari e impiegati del precedente regime; il “miracolo italiano”, con la sua rivoluzione imprenditoriale, non vi sarebbe potuto essere senza il sostegno di strutture come ENI e IRI, create proprio da Mussolini.
Di tutt’altro segno o sostanza che antifascista (come missini ed estremisti di destra propagandavano all’epoca scambiando lucciole per lanterne) fu, inoltre, il cosiddetto centro-sinistra moroteo. Il progetto dello statista pugliese fu osteggiato strategicamente sia dall’atlantismo sia dal sovietismo bolscevico-comunista (dai guardiani di Yalta) e poi sia dai neofascisti missini sia dall’estrema destra non missina fagocitati gli uni e gli altri dalla longa manus dello stato profondo andreottiano. Il centrosinistra a trazione morotea doveva rappresentare una inevitabile tregua tattica italiana per uscire proprio, in proiezione mediterranea e orientale, dalla prigione antifascista del bipolarismo mondiale tra USA e URSS. Medesimo obiettivo di quello di Enrico Mattei, però ben più raffinato e sottile politicamente e tatticamente.
Gli unici che veramente, a livello mondiale, misero consapevolmente e strategicamente alle strette la follia mondiale di Yalta furono Aldo Moro ed Enrico Mattei. Va ripensata, in tale dimensione, la stessa relazione strategica di Aldo Moro con significative figure dello stato profondo italiano dell’epoca, come Vito Miceli e Mino Pecorelli, che vennero non a caso bruciate, emarginate o eliminate dal fedele guardiano italiano dell’oscuro sistema antifascista di Yalta, ovvero l’andreottismo, poi a sua volta finalmente liquidato per vicende interne di cui un giorno si potrà parlare. È sin troppo chiaro che un omicidio così pesante e unico, nella sua infame perversione, come quello del nostro grande statista Aldo Moro non abbia potuto che avere il placet di tutti i partiti egemoni all’epoca a livello mondiale, ovvero l’intera Trilaterale e il Partito Comunista Sovietico e soprattutto la garanzia interna dei guardiani italiani di Yalta. Fu Aldo Moro a creare, con metodo e costanza, subito dopo il 1945, la politica internazionale mediterranea che ha permesso alla Prima Repubblica, e alla Secondo stessa nonostante tutto, di sopravvivere sino ad ora; fu lo statista pugliese a consigliare ai vari ministri degli esteri di marciare sempre di pari passo con il cammino dell’ENI. Regola che vale tuttora. La tragedia italiana di tutti i nostri tempi è che dopo Mussolini, Moro, Mattei, abbiamo mortalmente voltato le spalle al Mediterraneo, cuore e respiro dell’Essenza italiana universalista, disperdendoci in diatribe geopolitiche internazionali per noi inessenziali – come ad esempio quella sino-americana – alle quali un vero un autentico Universalista romano dovrebbe rimanere estraneo. La prospettiva strategica dell’area MENA e del Medio Oriente Allargato è tuttora, per noi italiani, più attuale e vitale della squallida Unione Europea e della stessa Via della Seta a cui la borghesia italiana del nord e confindustriale – succube di quella tedesca – continua a guardare con notevole trepidazione. L’Italia o tornerà finalmente a essere mediterranea e universalista, oltre oriente e occidente e soprattutto oltre l’europeismo provinciale straccione, o sparirà dalla storia umana dei popoli e delle nazioni.