Iuventa di Michele Cinque
Iuventa di Michele Cinque

Iuventa di Michele Cinque

L’Associazione Aurora ha intervistato il giovane regista Michele Cinque, autore della pellicola Iuventa, ospitato dalla Sala Pegaus di Spoleto.

 

Video intervista a Michele Cinque

 

Un docu-film sulla nave di salvataggio Iuventa la quale, dopo aver salvato in mare circa 2000 esseri umani nell’estate del 2016, è stata bloccata dalla Guardia Costiera Italiana nell’ambito dell’indagine sull’immigrazione clandestina. Michele Cinque vive in prima persona l’esperienza della Jugend Rettet, ONG tedesca fondata da ragazzi poco più che ventenni, imbarcandosi personalmente sulla nave e filmandone l’eroica impresa.

Il film, oltre al racconto dei salvataggi ad opera dei volontari, affronta limpidamente il difficile tema dell’immigrazione, degli sbarchi clandestini e soprattutto del vuoto legislativo causato dalla chiusura di Mare Nostrum.

“Gli ultimi due governi non sono riusciti ad affrontare nel modo giusto il problema, o meglio, la risorsa che rappresentano i migranti” spiega Michele Cinque nell’intervista rilasciata all’Associazione Aurora prima della proiezione. Il regista, convinto che la pellicola possa sensibilizzare le istituzioni europee, è certo che esista una soluzione a questo annoso problema che causa ogni anno migliaia di morti in quelle rotte del Mediterraneo che collegano la Libia con l’Italia.

Il film non è solo una semplice narrazione della storia dell’ex peschereccio divenuto imbarcazione di salvataggio, ma anche un racconto di formazione che, attraverso tre blocchi narrativi, affronta le missioni di soccorso dei ragazzi, il loro traumatico ritorno nella quotidiana realtà e il duro impatto con un presente ormai divenuto alieno, e il ricongiungimento di questi volontari con alcuni dei giovani salvati dalla Iuventa stabilitisi nei centri di accoglienza italiani. Attraverso l’intero racconto lo spettatore vive sulla propria pelle le estreme esperienze degli esodi della disperazione che trovano una conclusione nelle strutture di accoglienza.

Ma un romanzo di formazione che si rispetti deve concludersi con la maturazione dei protagonisti del racconto. Dopo la visione del film invece le prospettive sono molto sfocate ed il mondo adulto si mostra ai giovani protagonisti – siano essi salvatori o salvati –  senza speranze e futuro: un mondo dove le missioni umanitarie appaiono ormai elettoralmente controproducenti, che spiana la strada all’operato degli scafisti libici, che lascia morire migliaia di esseri umani nei campi di lavoro a Tripoli e che intravede nell’instabilità del continente africano un succulenta opportunità di profitto. Di fronte a un tale panorama non sembrerebbe essere visibile una prospettiva di crescita né tanto meno una via d’uscita.

In questo mondo tutti si mostrano sconfitti, persino i più fortunati tra i migranti (quelli che riescono ad approdare vivi sulle coste Europee) non vedono dispiegarsi di fronte loro un futuro dignitoso e ricco di opportunità. Forse mai come oggi i sommersi e i salvati appaiono confusi  e i colpevoli di tanta disperazione non si distinguono nella foschia delle istituzioni.