Perché alla Russia conviene il Partito Democratico Americano egemone in Occidente 
Perché alla Russia conviene il Partito Democratico Americano egemone in Occidente 

Perché alla Russia conviene il Partito Democratico Americano egemone in Occidente 

In un precedente articolo di mesi fa avevamo provato a immaginare cosa avrebbero significato quattro nuovi anni del Partito Repubblicano – filorusso sia sul piano geopolitico che del conservatorismo radicale – alla Casa Bianca. Proviamo ora, invece, a immaginare quattro nuovi anni Democratici. 

Se è vero che gli americani generalmente temono come fumo negli occhi il massimo obiettivo strategico di Putin, l’unificazione economica, culturale e politica tra mondo tedesco e russo (che fu del resto già causa di due guerre mondiali nel secolo scorso), è anche vero che la strategia repubblicana di Trump è più realista, forse, quindi, più pericolosa per Mosca. Trump e i suoi strateghi non sono infatti così alienati e dissociati, come lo sono le élite guerrafondaie britanniche e dems, dal considerare un eventuale blocco russo-tedesco, ai nostri giorni, così influente e pericoloso come lo sta diventando il blocco russo-cinese-persiano-indiano. Blocco a cui inizialmente Putin non era affatto favorevole, ma divenuto necessario proprio a causa dell’egemonismo globalista e guerrafondaio dems e neoconservatore. 

Il candidato Dem Harris, in sé, non fa molto testo perché sarebbe una semplice pedina nelle mani delle frazioni più oltranziste del Pentagono e del complesso militare industriale come lo sono già stati Obama e Biden. Abbiamo oramai visto che la strategia del Pentagono sta conducendo gli USA in un vero e proprio veicolo chiuso, che in sé sarebbe un bene per gli anti-egemonisti, ma presenta la sola incognita di un incubo nucleare, che i Democratici americani hanno già lasciato in dote all’umanità nell’agosto 1945. 

Tulsi Gabbard, in una recente intervista a riviste italiane, ha definito il Partito Democratico il partito della guerra mondiale e dell’occupazione totalitaria del potere, motivo per cui la neotrockista Harris – o chi per lei – è molto più pericolosa, per il mondo, di Putin o del presunto “militarismo” russo. Per quanto riguarda le politiche sociali dei Dems, si tratta di un utopistico e propagandistico egualitarismo livellatore che già nella California di Harris ha prodotto percentuali record di crimini violenti e senza tetto. Chi realmente vola in America, durante i mandati Dems, è quasi esclusivamente il complesso militare industriale, l’industria bellica. 

Lo scorso novembre, Bill La Plante, capo di acquisizioni del Pentagono, ha dichiarato: “La domanda mondiale di armi è qui. L’offerta è qui”. Uno studio di pochi mesi fa di Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) mostra come la guerra in Ucraina abbia spinto in modo drammatico l’acquisto di nuove armi. I produttori statunitensi sono i principali beneficiari con un aumento delle esportazioni complessive del 17 per cento; circa il 70% dei soldi stanziati dagli USA per ami ucraine torna al complesso militare industriale. Nonostante ciò la richiesta è più alta rispetto alla capacità produttiva. Armi sempre più tecnologiche e catene di montaggio sempre più costose hanno finito per rallentare la produzione. Inoltre le società occidentali sono almeno formalmente private e hanno contratti da rispettare: se devono consegnare una fornitura in Turchia non la possono dirottare a Kiev. 

Lockheed Martin e Rtx – tra i maggiori produttori di armi statunitensi, tra cui i Javelin, gli Himars e i Patriot, fondamentali nel conflitto in Ucraina – hanno dichiarato che ci vorranno almeno quattro anni per raddoppiare la produzione dei missili terra-aria Javelin e Stinger: più o meno il doppio del tempo previsto. La General Dynamics sta accelerando la produzione di colpi di artiglieria per passare dagli attuali 20 mila al mese ai 100 mila. Il direttore finanziario dell’azienda, Jason Aiken, durante la conferenza sugli utili ha dichiarato “la situazione a Kiev e a Gaza non farà altro che esercitare una pressione al rialzo di questa domanda

Di conseguenza ha sostanzialmente ragione la Gabbard quando sostiene che il Partito Democratico è soprattutto una “Élite fanatica di guerrafondai, di Estrema Sinistra Woke, che sta razziando la nazione, calpestando le nostre libertà sancite da Dio e dalla Costituzione”; le élite mondiali, soprattutto quella cinese, indiana e russa, sanno che l’egemonismo occidentale Dems significa guerra eterna e permanente; ciò non potrà che portare, continuando così le cose, a una fase strategica il multipolarismo, per ora tattico, tra queste tre potenze. Destinato miseramente a fallire, peraltro, ogni eventuale abboccamento dei Dems verso New Delhi, soprattutto dopo il sostegno esplicito di Obama e Biden agli scissionisti sikhisti che hanno messo in discussione con la metodologia terrorista di opposizione armata il modello Hindutva di Modhi. Viceversa, il maggiore realismo di Trump impedirebbe a Mosca, anzitutto, la vittoria strategica sull’Ucraina – dunque sull’Occidente – che costituisce l’essenza stessa testamentaria della visione filosofica e politologica che ha caratterizzato l’ultima fase putiniana (almeno dal 2014 a oggi), la fase di totale opposizione al nichilismo e al nulla euroccidentale rappresentato da quello che un filosofo vicino a Putin, Dugin, definisce  Satanocrazia occidentale, ovvero il regime dell’anticristo.

Trump metterebbe viceversa in campo la strategia della pacificazione e della negoziazione concertata, ridimensionando la carica strategica della guerra di difesa patriottica dall’aggressione NATO e occidentale. Ancora; “il partito occidentale” di Mosca, già assai forte a livello di intelligence, Stato Maggiore, élite moscovita e schieramenti politici (per lo più di estrema sinistra o estrema destra), riprenderebbe ulteriore vigore, vanificando il grande e incredibile sacrificio russo di questi anni. Infine; la tendenza strategica dell’Occidente Woke, Dem, di Sinistra radicale è la tendenza all’isolamento e alla auto-ghettizzazione, essendo rifiutata in ambito multipolare (dunque dalla stragrande maggioranza del pianeta) la società civile livellata, egualitarista e gender, rappresentata dal modello anglosassone e da quello californiano di Harris. Il realismo di Trump, viceversa, potrebbe rimettere in discussione il multipolarismo tattico intavolando con questo un tavolo di discussione collettivo. 

Tale multipolarismo potrebbe divenire, con la continuità di egemonismo Dem, strategico, la possibilità più elevata per gli USA di tentare di ricompattare un fronte occidentale estenuato e sfibrato, sempre più marginale a fronte dell’ascesa asiatica, mediante una vera e propria guerra di civiltà, modello vietnamita o afghano, è di difficile attuazione, dati i continui insuccessi sul campo degli occidentali messi in fuga sia in Vietnam sia a Kabul, nonostante le frazioni più oltranziste del Pentagono sembrino privilegiare proprio lo scenario nucleare come testimonia il significativo e importante romanzo militare 2034, stranamente sottovalutato dagli specialisti. 

Anche in questo caso, però, pare più realista Trump che punterebbe a un accordo strategico con il multipolarismo piuttosto che l’illuosrio egemonismo novecentesco di tali frazioni oltranziste; difficile che tre potenze nucleari come Cina, India, Russia rimangano a guardare in un caso così tragico; non siamo più nel 1945. L’occidente intero rischierebbe di farne le spese, dopo aver troppo e troppo a lungo alzato il gomito. In conclusione, l’unica possibilità che avrebbe l’Occidente per cercare di restaurare una saggia e creatrice egemonia, non oppressiva, potrebbe essere proprio rappresentata dal tentativo di formare una classe dirigente politica e culturale di peso e carisma; di certo i Dems, meri burattini del complesso militare industriale, continuano invece la via opposta, quella via del nulla che i russi rimproverano con una certa ragione all’occidente.