Affinità e divergenze con il pensiero eurasiatista
Affinità e divergenze con il pensiero eurasiatista

Affinità e divergenze con il pensiero eurasiatista

Di Roberto Siconolfi

L’eurasiatismo è un “pensiero”, che attraverso pregevoli filosofi e giornalisti di fama internazionale (da Aleksandr Dugin a Pepe Escobar) sembra accompagnare gli aspetti più radicali di certe politiche di rimodulazione dei rapporti internazionali, legate al multipolarismo, al rafforzamento dei BRICS e della Shanghai Cooperation Organization (SCO).

Ma questo “paradigma” che fonde elementi di filosofia tradizionalista ad altri di marca socialista ed identitaria, “rossobruna” per semplificare, è davvero adatto ad un movimento di riscatto sovranista e identitario dell’Italia e dell’Europa occidentale?

Le affinità

Se la globalizzazione, nelle sue prime fasi, più o meno dagli anni ’90, aveva prodotto un nuovo modo da parte dei popoli e delle grandi entità politiche di intessere scambi e relazioni, la preponderanza di un solo polo, quello USA, con la caduta dell’Unione Sovietica e dei paesi satelliti, ha portato allo straripamento di questo polo, con la guida in particolare del gruppo trasversale dei neoconservatori e con la loro “missione”, autoproclamata, di portare libertà e democrazia al mondo intero.

Allo stesso modo, molto più che rispetto alla destra, e ai repubblicani, la componente della socialdemocrazia internazionale, del mondo dei dem e dei liberal americani, della “terza via” blairiana e del socialismo fabiano, promuove l’ideologia globalista, con le sue parole d’ordine umanitarie, pacifiste, ambientaliste, di “diritti” e lotta alle diseguaglianze.

Il vero volto, la concretizzazione di tutto ciò, è una valanga di sangue per il mondo intero in nome  dell’esportazione della democrazia, la destabilizzazione di Stati sovrani con conseguenze migratorie e di radicalizzazione politico-religiosa rilevanti, l’affamamento di popoli, portati alla soglia di povertà da politiche economiche predatorie e indebitatrici.

E poi, e questo molto nel nostro mondo occidentale: degrado antropologico, omologazione, sviluppo di ideologie innaturali, anti-naturali, oltre che irrispettose di tradizioni culturali, filosofiche e religiose millenarie.

Bene, l’eurasiatismo costituisce una risposta a tutto ciò, e lo fa molto meglio di tutti quei movimenti, che alla fine degli anni ’90 si proponevano, da sinistra in particolare, di costituire “un altro mondo possibile”, mondo che, però, non metteva in discussione i canoni ideologici della globalizzazione stessa, e cioè proprio il “globalismo”, affrontando, più che altro, questioni meramente di carattere economico, o ambientale, e mai i temi delle identità e delle culture, o al massimo facendolo in nome di un indistinto “cittadini del mondo”.

È inutile constatare che questi ritornelli del movimento “no global” siano diventati bandiera di tutta una serie di tendenze ideologiche proprie allo stesso globalismo, quelle più di sinistra, e compresa la lotta al “neoliberismo”, dietro la quale si nasconde la lotta al capitalismo tutto, pure a quello produttivo, che nasconde in ultima analisi la lotta alla proprietà privata.

Tutte queste tendenze, dalla lotta alla proprietà privata, all’ambientalismo radicale, all’immigrazionismo, alla lotta per i cosiddetti diritti dell’ideologia Gender, al vaccinismo e al culto della scienza, trovano ancora oggi sfogo nei movimenti della sinistra radicale occidentale (la France Insoumise di Mélenchon su tutti), data la natura intrinsecamente globalista. 

Va immediatamente messa una linea di demarcazione da tutto ciò, e ci auguriamo che questo venga fatto dal movimento eurasiatista.

Il movimento eurasiatista porge al mondo la questione del multipolarismo, nuovo modello delle relazioni di politica internazionale, e modello filosofico politico e geopolitico di “coesistenza” di tutte le civiltà a livello mondiale, oltre la vocazione unipolare americana a fare da “poliziotto del mondo”, in lotta per la civiltà contro la barbarie.

E questo è un terreno sul quale sicuramente si può convergere, per costruire il polo italiano, europeo occidentale, ed evitando, però, di sostituire un dominio con un altro (dagli USA alla Cina per intenderci).

Divergenze

Ma, com’è giusto che sia, vi sono anche delle divergenze naturali, che un movimento di lotta per la sovranità situato nell’Europa occidentale e nel Mediterraneo ha nei confronti di una filosofia fondamentalmente “panrussa”, “panslavista”, impregnata di un carattere ento-sociologico ben specifico.

Innanzitutto l’eurasiatismo si sostanzia come espressione di società sviluppate in estensione, proprio geografica, e per una massa sterminata di abitanti.

Con società di questo tipo, certi sistemi politici “dispotici”, dei quali parlava anche un Carlo Marx nella sua analisi dell’evoluzione storica dei modi di produzione e delle società relative, sono quasi inevitabili.

Ma, per forza di cose, non possiamo traslare le “autocrazie”, seppure al servizio del popolo, cinesi o russe, in Europa occidentale e in Italia, società fondate su un maggiore grado di individualismo e di importanza delle comunità locali.

Da un lato abbiamo la storia dell’individualità umana, che a partire dal mondo greco-romano, passando per il cristianesimo, per il Rinascimento e l’Umanesimo, giunge all’Illuminismo e al pensiero liberale – componente criticabile ma ineludibile della storia dell’Occidente; dall’altro la tradizione comunitaria federalista (dai “cento comuni” in Italia, ai Länder in Germania, alla Spagna delle comunità autonome, fatta eccezione proprio per la Francia centralista per i motivi che ben conosciamo). 

Esulare da queste basi “antropologico-comunitarie” significa proprio sbagliare punto di partenza, e importare un’ideologia non nostra e quindi non vissuta né applicabile.

Ma ancora, più nello specifico l’eurasiatismo si esprime sulla base di certe idee, parole d’ordine, atmosfere “terzomondiste”, talvolta “pauperiste”, non prive di esaltazione esotica verso tutto ciò che è altro dall’Occidente, e dal suo modello di sviluppo e produzione della ricchezza e del benessere.

Al netto di discorsi etnocentrici, razzisti, e nella consapevolezza che il mondo occidentale in tutte le sue componenti sia arrivato al capolinea, non credo che la risposta sia la suddetta.

L’Occidente è sviluppo delle forze della “produzione”, nella libertà di “intrapresa”, in particolare vi è il genius loci italico, la creatività imprenditoriale, artigianale, artistica italiana. Immaginare modelli “statalisti”, con una matrice anticapitalistica e socialista bella evidente, non farebbe altro che comprimere lo slancio delle forze vitali, creative e produttive dell’economia e dell’impresa, e che sono insite nell’individuo e nel nostro “tipo umano” e nel nostro popolo.

Del resto già ci ha pensato la “nuova socialdemocrazia totalitaria”, che da oltreoceano, almeno nella frazione dem, fino alle sedi della UE, mira a regolamentare, “strozzare”, le forze economiche nazionali attraverso l’azione di trust, banche, “mercati”, commissioni tecniche. Un regime sempre più votato a forme di assistenzialismo, contrasto della proprietà e spegnimento della piccola e media impresa.

Ma ancora, sul “terzomondismo”, al netto di etnocentrismi che vedono l’Occidente portatore di superiorità civile nei confronti delle altre entità geopolitiche, delle altre identità, al netto delle manovre golpiste, delle cosiddette rivoluzioni colorate, tanto amate da George Soros e dai neocon americani, è importante comunque non cadere nella esaltazione acritica di certi modelli politici.

Pensiamo alla traballante repubblica bolivariana del Venezuela, ridotta ad una maschera dello stesso chavismo, governata dai collettivisti nemici della proprietà. Allo stesso modo il Brasile dell’iper-vaccinista Lula, o dall’altra parte del mondo lo stanco regime degli ayatollah iraniano, nel quale i tassi di astensionismo elettorale sono sempre più alti (40% al primo turno, 45% al secondo alle presidenziali 2024, rispetto al 49% del 2021).

Ma un tale discorso può valere anche per la Cina.

L’importanza, l’imponenza di questa potenza politica ed economica va tenuta in conto, e sciocco, o miope, sarebbe l’atteggiamento sinofobico da parte di un sano movimento per la sovranità del popolo italiano. Tuttavia, del regime che aspira ad essere la prossima guida politica internazionale ed economica non possiamo non valutare i lati positivi, quanto quelli negativi (anche per i danni concorrenziali alle nostre economie territoriali).

La Cina è un regime che si erge su una massa umana enorme, che adotta un sistema che ha fatto dei passi in avanti rispetto al totalitarismo comunista, introducendo principi del patrimonio identitario cinese, la filosofia confuciana, in correzione al materialismo marxista della variante di Mao.

I principi dell’“armonia” confuciana ripresi da Xi Jinping, in salsa post-maoista, però, sono anche in questo caso l’applicazione per società dove è preponderante il ruolo del “collettivo” rispetto a quello del singolo, e dove il partito comunista è autorità politica e disciplinatoria della società.

In ultima analisi, possiamo dire, che la geopolitica, in particolare l’anti-atlantismo, non può essere l’unico parametro sul quale valutare le cose, né quello di ultima istanza.

Problematiche di Weltanschauung

Vi sono, poi, nell’eurasiatismo anche delle problematiche di carattere dottrinario, di Weltanschauung, che vanno prese meglio in considerazione.

Su tutte l’impostazione di una filosofia tradizionalista che pone delle antinomie troppo nette.

Tradizione vs modernità, terza Roma vs Occidente liberale, terra vs tecnologia, tellurocrazie vs talassocrazie, spirito vs materia ecc.

Questo tipo di antinomie, schematiche, “riduzioniste” sono figlie di un certo tradizionalismo rigido, dove vi è molto la mano di Guénon, e dal punto di vista filosofico di Schmitt. Un pensiero che non coglie la complessità, talvolta netta, talvolta coniugata, talvolta sfumata della realtà.

Del resto, vogliamo buttare a mare tutto l’Occidente, tutto il mondo moderno? 

Vogliamo buttare a mare tutto il pensiero liberale (compreso un Benedetto Croce), umiliato dalla caricatura liberal che viene proposta nella UE, e che ha venature molto più collettiviste che legate ad una sana economia di mercato?

Vogliamo buttare a mare tutta la storia inglese e americana (compresi cinema e musica rock)?

Vogliamo non cogliere lo straordinario sviluppo tecno-scientifico al quale ha portato il mondo illuminista moderno, e poi “postmoderno”, compresi gli aspetti più avanguardistici della rivoluzione tecnologico-informatica?

Questo ovviamente, con la consapevolezza che tale sviluppo ha bisogno inevitabilmente del contrappeso dello spirito per essere diretto.

La concretizzazione dello spirito ha bisogno per forza di cose dell’incarnazione nelle forze della materia, le quali, in tutti i loro aspetti, anche quelli più estremi, non devono essere eluse, o disprezzate, in nome di una purezza “originaria”, che in quanto originaria è appunto irraggiungibile, se non forse inesistente nella storia e nella realtà umana – almeno in quella recente. Un atteggiamento che poi porta ad una scissione “dualistica” con la realtà, che può essere foriera di fanatismi e violenza, come in quegli esperimenti “gnostico-rivoluzionari” novecenteschi, già tristemente noti all’umanità. 

Da questo punto di vista la leadership russa, Vladimir Putin, il partito Russia Unita, sembrano cosa più equilibrata, nelle idee, intenzioni, come nei provvedimenti.

Vladimir Putin e Russia Unita, al di là della mostrificazione mediatica nostrana, sono espressione di un conservatorismo “centrista”, che è cristiano “vero” ma non fanatico, dirigista ma in un quadro di libero mercato, identitario ma multinazionale-multietnico-multireligioso, imperiale ma con una architettura dello Stato fondamentalmente liberal-democratica, dotata di una opposizione interna fatta di comunisti e nazionalisti, anche in questo caso quella vera, e non quella alla Naval’nyj, a capo di partiti inesistenti, anche dal punto di vista elettorale, e che sono più che altro organizzazioni semi-criminali volte alla destabilizzazione del paese – negli Stati che funzionano, come anche l’Italia della prima repubblica, questo tipo di organizzazioni di solito vengono limitate se non represse.

Per paradosso, la Russia potrebbe essere considerata l’ultimo Stato moderno d’Europa, per come storicamente inteso, rispetto alla UE tecnocratica e totalitaria.

Si dirà “ma a governare è sempre Putin e Russia Unita”! Ma perché, sempre nell’Italia della prima repubblica non ha sempre governato la DC in coalizione con altri partiti, più o meno sempre gli stessi, così come più o meno sempre gli stessi uomini erano al potere – su tutti Giulio Andreotti.

Eppure non mi pare che l’Italia di non fosse liberale o democratica, anzi!

Aspetti dai quali prendere nettamente le distanze 

Vi è poi una forma di eurasiatismo da “febbre del sabato sera”, che segue le mode, le “bolle”, i wishful thinking, le euforie della rete, fatta sostanzialmente di tifosi della Russia e della Cina, e di tutto ciò che è “altro” dal Satana occidentale, attribuendo qualunque prodezza, desiderio, “svalvolamento mentale” direi in altri casi, a queste potenze.

Qui, oramai, i russi e Putin sono tutto ciò che si può desiderare (loro) nella vita: anti-liberali, socialisti, anti-americani, perché no anti-semiti. E la Russia è terra di repressioni contro le minoranze, di repressione anti-capitalista, di tutto il reprimibile da parte di chi ha forse un po’ di problemi psicologici con la figura paterna e ha bisogno dell’uomo forte che li metta in riga – e per non dire altro…

In questo circo equestre abbiamo neofascisti che festeggiano la giornata di sconfitta definitiva del fascismo, la parata della vittoria dell’Unione Sovietica, che si tiene ogni 22 giugno a Mosca. Comunisti ammiratori della orrida e blasfema cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi, sia che  la si voglia considerare “ultima cena” che “banchetto di Dioniso”, perché inclusiva, “oltre le barriere”.

Ma tralasciando questo aspetto folkloristico, internettiano, vi sono tutta una serie di canali, personaggi, giornalisti, riviste, centri studi, che invece assumono toni, idee, luoghi comuni, che sembrano usciti dalla “terza internazionale” o da quei gruppuscoli del settarismo di “estrema sinistra”.

Attenzione a questi temi riconducibili ad un generico socialismo, anti-capitalismo, anti-colonialismo, anti-americanismo, e che invece nascondono idee diametralmente nemiche della tradizione.

Attenzione all’anti-americanismo strisciante, che non coglie occasione per fare le pulci a Trump e agli USA in generale, e che vede in Trump o Biden due lati della stessa medaglia, in quanto, in fondo, sono due capitalisti, liberali, e “amerikani” – classica lettura di marca marxista che vede solo il fattore economico alla base di tutto e non la opposizione di Weltanschauung, tra il conservatorismo pupulista, identitario e cristiano di Trump contro l’ideologia woke e neo-collettivista di Biden. Tra l’altro anche come capitalismo vi è differenza  tra quello produttivo di Trump e quello sostanzialmente speculativo-finanziario che sostiene i dem.

Soggetti che scambiano, o meglio “forzano” in base al machiavellico sofisma marxista, la denazificazione russa con l’anti-fascismo nostrano. Denazificazione che attiene alla storia patriottica e nazionale, contro la Germania nazista, Stato invasore e che considerava gli slavi “subumani”.

O ancora, soggetti che a tutti gli effetti portano avanti la propaganda dei comunisti cinesi, carica di odio verso la spiritualità – pensiamo al buddhismo marxistizzato del partito comunista cinese che attacca l’istituzione religiosa ufficiale, anche promuovendo le sette non istituzionali come cavallo di troia, per poi un domani attaccare pure queste e poter così passare definitivamente anche la spiritualità sotto la sua guida. 

E questa è la tattica storica di tutti gli odiatori dello Spirito, a partire dalla Lega dei senza Dio militanti  nella Russia bolscevica, che attaccava la Chiesa ortodossa anche attraverso la promozione delle sette, o del World Economic Forum, che fa lo stesso promuovendo i culti più disparati purché non cristiani. 

Infine, ricordiamo, senza mai dimenticare, che durante il periodo della cosiddetta pandemia, da questi stessi ambienti sono venuti i più accaniti tra i difensori del lockdown e tra i persecutori dei non-vaccinati, creando quella strana categoria, molto significativa per assonanza “statolatrica” dei “comunisti” o dei “rossobruni” per Draghi, solo alcuni dei quali redentisi alla fine, molto alla fine.

Europa occidentale

Ed è proprio venendo a quest’ultimo punto, alla cosiddetta “pandemia”, che forse ci arriva la prima lezione utile per una pars costruens.

Così come i nostri padri costituenti constatarono che dopo il fascismo il potere dello Stato centrale doveva essere spacchettato e bilanciato in tutta una serie di contrappesi interni, allo stesso modo, se c’è una lezione che abbiamo imparato dal golpe “Covid-19” e dalle scelte del suo Stato etico, “prescrittore”, “educatore”, per il “bene comune”, è che lo Stato va sostanzialmente ridotto. 

Constatazione che aumenta a livello esponenziale se ci riferiamo poi alla UE, lo Stato di ultima istanza nel quale siamo inseriti, coi suoi regolamenti, procedure, la sua volontà di controllo minuziosa (fino ai tappi delle bottiglie d’acqua).

Al contrario, bisogna lasciare sviluppare le libere forze produttive lontano anche da tentazioni keynesiane tanto presenti nel cosiddetto sovranismo.

Il keynesismo è una ricetta vecchia, tarata per un altro secolo, il Novecento (in particolare gli anni ’30), il secolo delle masse, dei movimenti di massa, dello Stato forte e pianificatore (nello stesso periodo abbiamo il New Deal negli USA roosveltiani, i piani quinquennali nell’URSS staliniana e quelli quadriennali nel Terzo Reich).

Ma il discorso vale anche a livello politico: ridare maggiore spazio ai soggetti, agli individui, nel senso dell’“essere individuato”, incarnazione dello spirito in un corpo. Individui violati nello spirito e nel corpo in questi anni. Solo a partire da una rinascita “antropologica” può svilupparsi anche una sana relazione comunitaria.

Da questo punto di vista, forse, una delle migliori indicazioni adottabili può giungere dalla “dottrina sociale della Chiesa”, ridottasi e assolutizzatasi, purtroppo, con il nuovo Vangelo gesuita di Papa Francesco solo in senso caritatevole – tra l’altro i suoi discorsi contro la proprietà privata sono molto in linea con il neo-collettivismo delle élite occidentali.

Questa è l’economia fondata sui “talenti”, ovvero quelle propensioni insite all’interno dell’uomo e che l’uomo ha non solo il diritto ma proprio il “dovere” di sviluppare per concorrere al piano divino – discorso che vede nel dharma il corrispettivo dell’India vedica, e nelle vocazioni il corrispettivo del medioevo imperiale.

Da qui il diritto sacrosanto alla proprietà e il dovere alla laboriosità, con sistemi di sussidiarietà e di distribuzione della ricchezza, o della stessa proprietà dei mezzi di produzione (vedere il “distributismo”), che non per forza debbono passare nelle mani dello Stato, dell’ente pianificatore e regolamentatore, al quale vanno lasciate possibilità di intervento per le questioni generali, per gli asset strategici o per l’appianamento “definitivo” di talune storiche di diseguaglianze (in Italia nord-sud).

In generale, forse, il meccanismo più congeniale è quello a “geometria variabile”, nel quale più le parti hanno capacità di autonomia, meno lo Stato centrale interviene, e viceversa.

Meccanismo che è anche quello dell’architettura imperiale romana, nel quale al centro vi era l’idea fondante imperiale con i suoi vertici politici, i quali intervenivano il meno possibile nelle questioni periferiche.

Va mandata definitivamente in pensione l’ideologia, anche in quelle forme che in qualche modo tentano di superare quelle storiche, le cosiddette “nuove sintesi”, a loro volta mix di ideologie di destra e di sinistra.

L’ideologia è la consegna delle facoltà intellettive e delle forze dello spirito a scatolette mentali, chiuse, limitate, distorcenti.

Quello di cui si ha bisogno è invece  una “visione del mondo”, orientata, mirante a valori e forze metafisiche assolute.

Per la trasformazione di questo piano in quello terreno, “politico”, la pragmaticità dell’azione, è la strada migliore, senza filtri, pregiudizi e purismi ideologici.

La sovranità italiana e il polo europeo occidentale, devono porsi in campo geopolitico con apertura tanto ad Est che ad Ovest.

Alla Russia cristiana ed europea, nostra naturale alleata e sorella, con la quale i nostri sani rapporti si sono spezzati, oltre che per motivi politico-internazionali, per l’odio woke verso tutto ciò che è sacro e che ha una sua sovranità, in quanto fascista e patriarcale – la reductio ad Hitlerum di Putin e della Russia rientra in questo schema.

Ma allo stesso modo bisogna aprirsi agli USA populisti e identitari, che ora vedono nella figura del businessman Donald Trump la loro massima incarnazione politica e valoriale, ma che potrebbero anche andare oltre, rompendo ancor di più i legami con il Deep State e con certe ideologie che si fanno sempre più pericolose, tra l’altro, per la pace mondiale (il “sionismo”).

Degli USA forti, nel senso non imperialistico, ma “identitario”, possono essere utili a bilanciare lo strapotere mondiale della Cina, con la quale vanno intessuti rapporti orientati al pragmatismo economico e politico.

Così come nel Medio Oriente, e negli altri scenari mondiali, è utile tornare ad avere quella politica di autonomia nazionale, senza obblighi di partigianeria, che caratterizzava l’Italia della prima repubblica e pur rimanendo nella stessa NATO – oramai un cadavere politico internazionale contro il quale è inutile pronunciarsi per l’uscita ma è utile invece ritagliarsi sempre più spazi di autonomia (come la Turchia) e favorire la sua dissoluzione (attraverso, ad esempio, l’isolazionismo trumpiano). 

In fondo alla nostra analisi non possiamo non guardare con estremo interesse al polo dei patrioti europei messo su dal premier ungherese Viktor Orbán.

La politica di Viktor Orbán in generale è indirizzata proprio a costruire uno spazio di autonomia europea, rispetto ai diktat di Washington e Commissione Europea.

Una politica che sappia guardare ad Est, alla Russia e alla stessa Cina, quanto ad Ovest, agli USA di Trump.

Questo spazio politico va potenziato, amplificato, con il contributo politico concreto delle comunità e dei movimenti sovranisti e identitari italiani. 

In questo spazio politico, ottima la presenza, del generale italiano “politicamente scorretto” n.1 Roberto Vannacci!