Il nazionalismo di Taiwan tra Trump e Kissinger
Scritto da un ammiraglio e da un consulente della Casa Bianca, il libro 2034 prefigura una Terza Guerra Mondiale tra Stati Uniti e Cina, con l’utilizzo di quattro ordigni nucleari tattici nei territori cinesi e americani in una spirale di ritorsioni a catena.
Abbiamo già avuto modo di scrivere che sul piano della Strategia della Sicurezza Nazionale americana si vengono ormai a confrontare, o ancora meglio a scontrare, due scuole specifiche: quella neo-wilsoniana, elitista e globalista di Kissinger, che punta a un accordo strategico permanente con il “Socialismo Cinese” come ieri perseguiva il modello della distensione o coesistenza pacifica con il Comunismo Sovietico; e quella populista nazionalista neo-jacksoniana, che è incarnata nel contesto odierno da Donald Trump e dal suo delfino Ron De Santis, come fu incarnata nel secolo scorso, almeno in alcuni momenti, dalla presidenza Kennedy, poi dal presidente Nixon, che dava così più ampio respiro alla linea fino a allora marginale di Joseph McCarthy (da cui era derivato il cosiddetto maccartismo isolazionista) e del Generale Douglas MacArthur.
La minaccia ben più grave e pericolosa rappresentata, per gli Stati Uniti, dal “Socialismo con caratteristiche cinesi” rispetto a quella sovietica e le maldestre spedizioni nel Vicino Oriente dei Neocons successive all’11/09/2001 hanno finito per radicalizzare il neo-populismo nazionalista americano anche presso taluni settori dell’intelligence militare, storicamente più vicini (almeno in ambito CIA, non di certo DIA) all’internazionalismo wilsoniano, al punto che il maccartista Nixon non si fidava dei suoi collaboratori dell’intelligence in quanto sarebbero stati troppo vicini al KGB e all’“Orchestra Rossa”.
Avevamo anche tentato di precisare, nel suddetto articolo, che un’eventuale nuova presidenza Trump, o comunque di orientamento strategico MAGA (Make America Great Again) quale potrebbe anche essere quella di Ron De Santis, rafforzerebbe in una significativa e storica declinazione strategica l’alleanza con Taipei, a differenza della volontà operatrice dei kissingeriani che sarebbero anche disposti, in una logica globale da nuova Jalta e di spartizione mondiale inter-imperialista con Pechino, a sacrificare l’indipendenza di Taiwan. Ciò è chiaramente emerso non solo dalle dichiarazioni rilasciate da Biden subito dopo la proclamazione della vittoria del nazionalista William Lai (Lai Ching-Te) a Taipei, che vanno in una direzione di velata ostilità all’ultranazionalismo di Formosa, bensì anche dalla stessa strategia messa in atto in questi anni dall’amministrazione dem, militarmente e politicamente distensiva verso Pechino; oltre la retorica e la competizione tecnologica e economica, ma oltremodo aggressiva sia verso la Russia sia verso l’India nazionalista di Narendra Mohdi, al punto che l’amministrazione dem non si è fatta problemi, un mese fa, di difendere la causa di un separatista anti-indiano come Gurpatwant Singh Pannun, accusato viceversa di terrorismo anti-nazionale da Nuova Delhi.
In questo senso lo Stato Profondo di Taipei, dal 1990 – anno in cui veniva dichiarata la cessazione dello stato di guerra con il Partito comunista cinese – arbitro decisionista indiscusso di ultima istanza di ogni controversia interna, ha dato atto di notevole acume strategico con le recenti elezioni, come già aveva fatto durante la rivoluzione mondiale da Covid 19, quando anche grazie alla propria intelligence militare di primissimo piano e di solida convinzione patriottica mostrava di saper fronteggiare con estrema astuzia la guerra batteriologica e cognitiva del potentissimo vicino.
Se è vero, infatti, che il Nazionalista Lai sarà presidente di Taiwan (e questo è un messaggio chiaro spedito sia a Pechino sia all’amministrazione Biden, nell’evidente speranza che a breve gli USA torneranno rossi e repubblicani) è però d’altra parte anche vero che Lai rischia di essere un po’ un’anatra zoppa, poiché il suo DPP (Partito Progressista Democratico, che storicamente aspira alla dichiarazione di Indipendenza formale di Formosa da Pechino) ha sì vinto l’elezione presidenziale, ma ha perso lo Yuan legislativo. Taipei dunque mette sul campo un attendismo tatticista, nella consapevolezza che fu proprio durante la presidenza Trump che si pianificò, e si iniziò ad attuare in modo irreversibile, la riforma dello US Marine Corps (USMC) in omaggio a un principio della flessibilità-mobilità centrato sulla necessaria difesa strategica della Fortezza Indipendente Taiwan e sulla deterrenza anti-cinese, e che prese per la prima volta corpo un addestramento specifico della Marina delle Filippine (“Il Paese delle settemila isole”), che tuttora è in vigore al punto che oggi l’addestramento delle forze navali speciali filippine è il più simile al mondo a quello della Marina USA. Si ricorderà a tal proposito lo storico incontro del 2017 tra Trump e Rodrigo Duterte, nel corso del quale il presidente filippino appellò nuovamente l’ex presidente statunitense Obama con l’epiteto di “socialista criminale” e si esibì in un vistoso omaggio a “The Donald” nella veste di cantante dedicandogli una serenata d’amore filippina, Tu sei la luce del mondo.
Va infine considerato che, per quanto la tanto propagandata industria dei microchip sia una fondamentale risorsa interna, l’elemento precipuo di Taiwan è rappresentato dal fatto che l’isola di Formosa è l’elemento chiave, la cosiddetta portaerei inaffondabile (“unsinkable aircraft carrier“) nella visione strategica militare cinese delle cosiddette Catene di Isole. L’isola taiwanese sarebbe perciò il cuore della Prima Catena di Isole, che parte dalle Curili e termina nella fascia settentrionale del Mar delle Filippine.
In conclusione, siamo portati a escludere l’ipotesi strategica del testo 2034. Pensiamo anzi a come la Cina, forte della sua millenaria astuzia strategica con la Rivoluzione Mondiale da Covid 19, con la guerra batteriologica-cognitiva e con il sostegno dei dem d’occidente e di Davos nella pianificazione di lockdown e terrore di massa, abbia potuto velocemente mettere fine alla rivolta di Hong Kong la quale, con il sostegno di settori di servizi di intelligence esteri a cui allo stato attuale si faticherebbe a credere, stava procedendo ininterrottamente, nonostante la feroce repressione, da un anno preciso senza soluzione di continuità. Al tempo stesso siamo anche certi e consapevoli che o la ventilata Controrivoluzione nazionale populista americana MAGA, che certamente raccoglie la potente spinta dell’America reale profonda allergica a ogni sinistra radicale antifa ed a ogni ideologia woke, sarà anzitutto un risveglio basato sul nuovo primato occidentale di sostanza politica e idealista o religiosa, piuttosto che meramente militare o protezionista, o il nuovo multipolarismo asiatico cinese da un lato, indiano dall’altro, stabilirà i nuovi assetti globali senza alcun bisogno di una Terza Guerra Mondiale, chiaramente con gli inevitabili conflitti di faglia; in quest’ultimo caso (che allo stadio odierno, dopo gli anni del disastro Biden, potrebbe apparire a tutta prima il più probabile, anche se così non è se si ha modo di osservare con un inevitabile stupore le manifestazioni di autentico fanatismo nazionalista e populista dell’America profonda che caratterizzano la campagna presidenziale Trump) l’occidente rovinerebbe definitivamente su se stesso senza alcun colpo di coda.