Per un’Italia in grado di salvare
Di Yuri Di Benedetto
Da più di un mese si assiste all’esplodere e al ritorno in tutta la sua drammaticità sulla scena mondiale e mediatica della questione palestinese. Il ritorno terribile di tale questione ha prodotto un moto generale di solidarietà da una grande parte della popolazione attiva politicamente, a favore sostanzialmente del popolo Palestinese. Sostegno che ovviamente trova una feroce ostilità da parte di tutto il sistema mass-mediatico, che ormai conferma la sua funzione di apparato propagandistico atto ad esercitare una forza smaterializzata della coercizione, funzionale ad introiettare gli interessi nelle masse del blocco Atlantico e dell’Anglosfera, con esiti del tutto indifferenti alle contraddizioni narrative che questo esercizio genera. Ma non è questo il punto su cui vorremmo soffermarci: il punto è un altro. Oltre la giusta, sacrosanta, ma ritualistica condanna morale di quanto sta avvenendo.
Crediamo fortemente che chi, come noi, trovi deprecabile assistere all’ennesima carneficina in giro per il mondo debba porsi delle riflessioni e degli obiettivi che non vediamo emergere da nessuna parte.
Chiariamo. La ritualità della manifestazione di piazza è qualcosa di giusto, ma anche di terribilmente autoreferenziale, gestita dai gruppi sempre più interessati a dimostrarsi egemoni nelle loro riserve indiane che a trovare soluzioni atte a realizzare quanto sostengono apparentemente nelle piazze.
Infatti il sentimento più diffuso che serpeggia in queste dinamiche – totalmente speculari e indipendenti dalle aree di riferimento, siano esse la destra o la sinistra – è l’impotenza, la confusione e il nichilismo.
Ma perché? Semplice, perché si è privi di un vero pensiero strategico supportato da una chiara visione o meglio, perché no, missione, che giustifichi ma soprattutto motivi la propria azione.
E qui potremmo brevemente continuare cercando di sistematizzare e ordinare le priorità. Ponendo domande retoriche al lettore e cercando di dare alcune nostre risposte.
Prendendo l’esempio palestinese, concordata la comune condanna cosa si propone nei fatti? Come si intenderebbe risolvere la questione?
Si sostengono sempre soluzioni quanto meno risibili, se viste dai rapporti di forza di chi le esprime: ma quale sarebbe lo strumento con quali sostenerle effettivamente? Per noi è chiaro. La Nazione.
Ed è anche logico. Senza la Nazione ogni cosa risulta velleitaria nel tempo e nello spazio.
Immaginate aver costruito una Nazione forte, in grado di intervenire concretamente con ogni mezzo disponibile nelle varie questioni che l’umanità ci impone di affrontare.
La Nazione e la Patria sono gli strumenti rivoluzionari per agire nel mondo. Non si posso negare, si possono solo conquistare. Sono il principio da cui si parte per ascendere verso qualcosa che superi il semplice essere felici dei propri confini. Uno strumento, un fine che non sia solo una macchina burocratica atta a decidere il costo della benzina. Ma un destino verso cui tendere.
Perché secondo voi nelle manifestazioni vengono esposte solo bandiere di ogni Nazione eccetto la nostra? Perché ogni altra causa ha più ragione d’essere che la nostra? È sintomatico constatare che la causa del vicino è più verde della propria. Quando viene proposta una questione inerente all’interesse strategico nazionale, c’è l’interesse disomogeneo di pochi. Per qualsiasi altra questione, del tutto irrilevante per il futuro, ci troviamo la qualunque a sostenerla.
L’Italia non versa forse in uno stato di bisogno profondo? Non subisce anch’essa un’occupazione? La qualità della nostra vita quotidiana non dipende dalle nostre posture morali, ma da questioni più alte che ci impongono ben altro. Non siamo in grado di salvare il nostro popolo e pretendiamo di dare lezione su come si devono salvare gli altri e definire anche gli obiettivi e i mezzi atti a farlo? Come pretendiamo di agire oltre l’individualismo romantico? Cosa vogliamo esattamente da noi stessi?
SE vogliamo salvare i palestinesi, come fossero gli armeni, o qualsiasi altro popolo o soggetto che subisca nel mondo una tragedia, dobbiamo prima salvare l’Italia e renderla forte. Priorità strategica. Sii forte, dice il buon senso, anche solo come esempio.
Vogliamo che l’Italia sia un faro nell’oscurità del mondo? Allora alziamo le nostre gloriose bandiere italiche, lavoriamo per donarle una grande missione, in modo che possa tendere la mano a chiunque chieda il suo, il nostro, aiuto.
Andiamo OLTRE LA CONDANNA.
ANDIAMO VERSO LA NOSTRA PATRIA, POI VERSO LE PATRIE ALTRUI.
Il resto, quella sì, che è retorica.