Nonostante la Prima guerra mondiale sia stata, per l’Italia, una guerra vinta (almeno sulla carta), la sua rappresentazione nel cinema è sempre stata all’insegna della retorica antimilitarista. Glorificare un conflitto, tanto più sanguinoso e traumatico come il primo conflitto mondiale, sarebbe senz’altro di cattivo gusto, visto anche il modo poco onorevole in cui il governo italiano dell’epoca e Vittorio Emanuele III avevano gestito l’entrata in guerra. Tuttavia, manca un film che racconti atti di eroismo e di valore dei soldati che vi hanno preso parte: non per esaltare la “inutile strage”, bensì per rendere giustizia alla memoria di chi si è sacrificato per la difesa della Patria, della propria casa, della propria famiglia. Cosa che, tanto per fare un esempio, viene costantemente fatta dagli Stati Uniti a proposito delle sue guerre. Non che riteniamo che bisogna prendere gli Stati Uniti come modello: tuttavia, perché non realizzare anche nella cornice della Grande Guerra un film sulla scia di Comandante di Edoardo De Angelis?
Campo di Battaglia di Gianni Amelio rientra sicuramente nel filone antimilitarista menzionato all’inizio, in cui tra l’altro rientrano capolavori assoluti come La Grande Guerra di Monicelli e Uomini contro di Francesco Rosi. Pur non essendo al livello di queste pietre miliari, il film di Amelio, con protagonisti Alessandro Borghi e Gabriel Montesi, risulta comunque un film pregevole e da non perdere per i cultori di questo conflitto.
La vicenda, ispirata al romanzo La sfida di Carlo Patriarca, è incentrata su un confronto, appunto, tra due medici militari: Stefano, uomo ligio al dovere che denuncerebbe anche il padre, se fosse costretto, che è esasperato dai tentativi di automutilazione dei soldati che vogliono scappare dal fronte, e che fa di tutto per rispedirli in trincea; e Giulio, al contrario uomo compassionevole che non solo copre i soldati che si feriscono da soli, ma che si rende a sua volta complice di queste ferite autoinferte. All’inizio, Stefano non ha idea dell’operato dell’amico, ma non tarda a rendersene conto. Su questo “duello” si innesta poi una presenza femminile: Anna, donna che, umiliata dal maschilismo imperante nell’università, ha abbandonato il suo sogno di diventare dottoressa e si ritrova a fare l’infermiera nello stesso ospedale dove operano Stefano e Giulio.
Se in un primo momento il film ci spinge a voler prendere le parti di Giulio contro Stefano, le carte non tardano a rimescolarsi in modo inaspettato. Saranno presto evidenti, infatti, i limiti che la condotta solo apparentemente “caritatevole” di Giulio porta con sé. E, in modo altrettanto inaspettato, Anna si ritroverà ad avere una sensibilità molto più simile a quella di Stefano. Nonostante la valenza, possiamo dire, “femminista” del personaggio, Anna non esita a prendere le parti dei soldati che hanno il coraggio di morire al fronte per la Patria, giudicando dei vili e dei traditori chi invece fa di tutto per sfuggire al proprio dovere.
E sembra un po’ questa la domanda che aleggia lungo tutto il film. Fino a dove è giusto spingersi per compiere il proprio dovere? E chi è più degno di biasimo, chi abbandona i propri commilitoni al fronte ma si farebbe tagliare una mano per tornare dalla propria famiglia e dai propri figli, o chi non tradirebbe mai i propri compagni ma accetta di assoggettarsi a un potere militare dispotico e coercitivo? Ovviamente noi non riteniamo che ci siano risposte giuste o sbagliate, ognuno dovrà rispondere secondo coscienza. Ma sono interrogativi che rendono questo film senza dubbio di spessore, seppure non perfetto.
Campo di Battaglia, infatti, rende evidenti anche alcuni limiti, sia dal punto di vista prettamente narrativo e cinematografico, sia dal punto di vista tematico. Come dicevamo all’inizio, manca nel cinema italiano un film ambientato durante la Prima guerra mondiale che renda giustizia alle centinaia di migliaia di soldati caduti per la difesa della Patria. Tuttavia, la scena finale riscatta, almeno parzialmente, Campo di Battaglia da questo punto di vista.
Impossibile non provare almeno un piccolo brivido nell’annuncio della vittoria italiana, e nel pensare quanto sia costato al nostro Paese ricacciare il nemico austriaco fuori dai nostri confini e poter restituire le città di Trento e Trieste alla Patria. Un sacrificio che dovrà essere costantemente rammentato non per rimanere ancorati al passato (che noi dell’Aurora prima di tutti vogliamo superare), ma per dare il giusto valore alla nostra Patria attuale: sempre più derisa, vilipesa e abusata dai suoi stessi cittadini e dalla sua stessa, ignobile, classe dirigente. Del resto, a quanti nostri contemporanei “farebbe bene un po’ di trincea?”