Di Andrea Giumetti
Uscito per la prima volta nelle sale nel 1997, Starship Troopers – Fanteria dello spazio è uno di quei capolavori del cinema, un po’ pop un po’ trash, che puntualmente rispuntano fuori nel discorso pubblico. Sarà per la peculiare estetica del film, che combina un cast stellare con effetti speciali di ottima qualità, sarà per la caratura di alcuni personaggi presentati, veri e propri anticipatori dei moderni meme, sarà perché il film, tutto sommato, presenta comunque un livello grafico e fotografico eccellente, con una CGI usata solo quando necessario; ma sta di fatto che, questo bizzarro e tamarro film è entrato, col trascorrere dei decenni, nella cultura pop, e ha conquistato sempre una maggiore fanbase. Ma vediamo brevemente di cosa si tratta.
Il setting
Vagamente ispirato all’omonimo romanzo di Robert Heinelein, di cui parleremo meglio in seguito, Starship Troopers è ambientato in un futuro in cui la Terra è unita sotto la Federazione Terrestre, una Stratocrazia. Questa è una forma di governo repubblicana, o semi dittatoriale (trattandosi di militari gerarchizzati, il confine è labile) in cui la cittadinanza, e quindi il potere politico, è ottenibile soltanto da parte di coloro che hanno completato il servizio militare. La fine dei conflitti tra gli stati, che sono stati trasformati in semplici distretti amministrativi, ha consentito alla popolazione della Terra di fare un grande balzo tecnologico in avanti, tale per cui la Terra, forte di un sistema di propulsione interstellare basato sulla propulsione Cherenkov (fisico sovietico del ‘900), ha costituito una rete di colonie interstellari. L’economia, e quindi anche in qualche misura il patto sociale che sta alla base della Federazione è semplice: i militari hanno la precedenza amministrativa e politica, ma tutti quanti, a patto che riescano a portare a termine il loro periodo di ferma, possono ottenere la cittadinanza, che non è ereditaria. Al fianco di questo, sebbene lo stato possa esercitare un potere assoluto, viene fatto capire (e nel libro viene detto espressamente) che la società si basa su un consumismo disciplinato, con ampi spazi riservati alla libera iniziativa economica. Nel corso della sua espansione galattica, la Federazione Terrestre si è imbattuta negli aracnidi, una specie di insettoidi organizzati in formicai, che sono in grado a loro volta di propagarsi per i vari pianeti del cosmo.
La Trama
Johnny Rico (Casper Van Dien) è uno studente all’ultimo anno di liceo, non molto dissimile a quello che si potrebbe incontrare oggi in un college americano. Ha una fidanzata, Carmen Ibanez (Denise Richards) alla quale piace molto tenerlo sulle spine alternando momenti di provocazione e altri di castità, ma sopratutto ha un migliore amico Karl Jenkins (Neil Patrick Harris), che è un provetto ingegnere e un “sensitivo”, ovvero uno psionico in grado di leggere e influenzare la mente. Durante la fase iniziale del film, ambientata per l’appunto nel corso degli ultimi momenti del liceo, apprendiamo grazie alle lezioni e alla scuola di Rico di molti degli elementi della cultura federale, che vengono espressi in maniera piuttosto burbera in particolare dal professore di filosofia morale Jean Rasczak (Iichael Ironside). Scopriamo anche che Rico proviene da una ricca famiglia di industriali di Buenos Aires, mentre i suoi amici hanno una provenienza più umile; Quando il giovane, sia perché le lezioni di filosofia lo hanno spinto a porsi molte domande sul suo posto nella galassia, sia perché (e il film sottintende che questo sia il motivo principale) la sua fidanzata Carmen si vuole arruolare, decide di firmare per il servizio militare, il padre, che fino all’ultimo tenta di convincere il figlio a seguire l’attività di famiglia, arrivando a tentare di “comprarlo” con una vacanza esclusiva, si adira e lo caccia di casa. Karl, Carmen e Johnny si arruolano dunque, ma mentre i primi due hanno un punteggio all’orientamento molto alto, tale per cui il primo viene destinato all’intelligence, e la seconda alla flotta spaziale, Johnny è una testa di legno a cui non rimane altro che arruolarsi nella Fanteria Spaziale Mobile. Qui, riceve le congratulazioni del sergente addetto allo smistamento, un uomo privo di un braccio e di entrambe le gambe, che gli dice: “Congratulazioni, la fanteria mobile mi ha reso l’uomo che sono oggi”. La telecamera riduce l’ingrandimento, e si ferma sulle sue menomazioni, dando alla scena una forte connotazione tragicomica. Jonny viene allora mandato al campo di addestramento, dove si dà una descrizione della vita di caserma che ricorda sostanzialmente quella di un addestramento per gli U.S. Marines. Johnny, che non sente particolarmente la vocazione al servizio militare, che essendo facoltoso non ne ha nemmeno bisogno, che viene mollato per videomessaggio da Carmen (che giustifica la rottura con “il voler fare carriera” ma che in realtà ha cominciato una relazione con un suo superiore) e che durante un’esercitazione causa la morte di un suo sottoposto, con conseguente fustigazione, decide di abbandonare tutto. Mentre imbocca “Il viale del fallimento” arriva però la notizia che gli aracnidi hanno fatto piovere un meteorite sulla Terra, spazzando via Buenos Aires. È la guerra, dichiarata, seguita e trasmessa attraverso i notiziari federali, che hanno un format che a noi moderni potrebbe ricordare il reel dei social. Questo avviene a circa metà del film, ciò che segue è sostanzialmente il racconto della guerra intergalattica di Rico e del suo plotone, è non è particolarmente interessante da un punto di vista di analisi, se non per i “meme” che ne risultano.
Un film strano?
Decisamente. Starship Troopers è un film che è difficile categorizzare, perché al di là dell’impianto da film d’azione/di guerra, sembra costantemente suggerire un livello di lettura più profondo, che però viene poi puntualmente sovrascritto da una scena meme, machistica o mediaticamente di impatto. Per capire davvero questo film, è necessario infatti documentarsi sulla sua genesi. Innanzitutto, bisogna dire che il film ha una qualità cinematografica notevole, tanto che ancora oggi risulta piuttosto credibile dal punto di vista dell’ibridazione tra fotografia e CGI, ma la vera forza di tutto il lavoro, oltre che nell’aver scelto gli attori giusti, sta nel fatto che ha un soggetto ad opera dello sceneggiatore Ed Neumeier. E qui, si apre il grande vaso di Pandora: infatti il film prende sì spunto dall’inquadramento generale del romanzo di R. Heinelein, ma lo fa con una funzione più che altro strumentale e promozionale, poiché la vera idea che anima Neumeier è ben diversa, nonché così rivoluzionaria che per quegli anni risulta impossibile da produrre. Neumeier, infatti, vuole realizzare un film sugli effetti del militarismo e della propaganda su una società (incidentalmente, gli USA in quegli anni hanno vinto la Guerra Fredda, e siccome non hanno rivali né sul piano economico né su quello militare, sono percepiti da molti entusiasti come “l’iperpotenza”) e lo vuole fare raccontando la storia di un immaginario militante della Hitlerjugend, che legga il regime e la Seconda Guerra Mondiale con gli occhi entusiasti di chi è influenzato da questi elementi. Ed ecco la profondità e la modernità perpetua di questo film. I telegiornali della Federazione Terrestre, pieni di immagini scioccanti, di processi pubblici a traditori veri o presunti, di racconti ipertrofici di eroi e di promozione delle macchine federali, sono perfettamente sovrapponibili a quelli che si sarebbero visti negli anni della “guerra al terrorismo”, come sono evidentemente perfettamente sovrapponibili ai moderni reel e video social che banalizzano la guerra in Europa e nel Medio oriente al livello di tifoseria da stadio.
E il libro?
Ecco, a parte qualche riferimento, il film non può essere preso in nessuna parte come sostituto alla lettura del libro. Vero e proprio trattato di filosofia camuffato da romanzo di formazione, Starship Troopers è scritto da Robert Heinelein nel 1959, e fa pienamente parte di quel filone della fantascienza che in realtà sfrutta l’espediente della distopia per criticare la realtà effettiva. Nel caso di Starship Troopers, questo va evidentemente a collocarsi nell’ambito di una critica all’America (ma è estendibile all’intera società post-positivista) degli “anni d’oro”, quando i veterani tornati dalla Seconda Guerra Mondiale, grazie ai programmi governativi, divennero la nuova classe media. Si badi bene, però, che Heinelein non è evidentemente critico nei confronti dei veterani in sé, tanto più che l’evento fondativo della Federazione Terrestre, ricorda molto da vicino la Battle of Athens – Tennesse, del 1947, quando un gruppo di veterani della Seconda Guerra Mondiale presero le armi e si ribellarono contro lo sceriffo locale, che era al centro di una rete di criminalità e corruzione. Ciò che l’autore critica è piuttosto il modello sociale del liberalismo, che inevitabilmente finisce per estraniare gli uomini. Nel libro, apprendiamo che le lezioni di filosofia (che per la parte del liceo sono tenute dal colonnello Dubois, un personaggio diverso dal tenente Rasczak, ma il film ha evidentemente economizzato sul budget) hanno infatti una frequenza obbligatoria e devono per legge essere tenute da un cittadino. I vari insegnanti di filosofia che incontriamo sono implacabili nello spingere gli allievi alla discussione critica di ciò che insegnano, e generalmente lo fanno esponendo una critica articolata e spietata del sistema sociale prebellico, che nel loro caso è evidentemente quello della democrazia liberale. Il “mondo di ieri” raccontato da Dubois è quello in cui le élite economiche e politiche alimentano l’assistenzialismo, illudendo le masse con il sogno della “ricerca della felicità” e di un “superiore istinto morale umano”, che tuttavia poi si traduce in una spirale di degrado continua. La filosofia che sta alla base della stratocrazia federale, invece, non eleva l’essere umano a specie superiore, men che meno lo fa con il “civilizzato” (anzi, nel libro c’è un ricorrente riferimento qualitativo rispetto agli uomini delle caverne), ma invece si appoggia fortemente alle tesi hobbesiane, per cui l’uomo è un lupo in mezzo ai lupi, a cui lo stato deve imprimere una coscienza sociale tale per cui la violenza sia controllata. Se da un lato Heinelein critica la società liberale, non bisogna tuttavia pensare che per questo voglia esaltare in qualche misura il fascismo o l’eccessivo collettivismo: leggendo tra le righe, si capisce che Juan, forgiato dalla guerra e dal dolore, è diventato un uomo (particolarmente commovente, a mio giudizio, il confronto che ha col padre, sopravvissuto all’attacco degli insetti e a sua volta arruolatosi), ma non ha alcuna reale idea su quale sarà la sua vita dopo la fine della guerra, ed è anche privo di qualsiasi personale concezione politica. In altre parole, Johnny ha preso su di sé il pesante mantello dell’esercizio dei pieni diritti politici, ma nonostante questo, di fatto non sa bene cosa farsene, né ha un’idea compiuta da esercitare, tenendo ovviamente conto del fatto che l’essere nel bel mezzo della guerra lo porta ad un certo fatalismo che vede con distacco il domani. Insomma, Heinelein filtra attraverso le vicende del suo protagonista la sua personalissima visione del mondo: per lui i giovani non devono avere paura di diventare uomini, accettando su di sé le responsabilità e i sacrifici che questo comporta. Essere umani porta con sé l’accettazione, e quindi anche il controllo, della propria natura animale, ma anche la piena coscienza delle potenzialità della mente, per usare le sue parole:
“Un uomo dovrebbe essere capace di cambiare un pannolino, pianificare un’invasione, macellare un maiale, condurre una nave, progettare un edificio, scrivere un sonetto, tenere i conti, costruire un muro, rimettere a posto un osso, dare conforto ad un morente, prendere ordini, dare ordini, cooperare, agire da solo, risolvere equazioni, analizzare un nuovo problema, condurre una manovra, programmare un computer, cucinare un pasto saporito, combattere efficacemente e morire degnamente. La specializzazione è per gli insetti”.