Di Beatrice Harrach (articolo precedentemente pubblicato sul blog ArtsCom)
Disordinato, caotico, svagato: sono spesso questi i termini che una certa corrente di pensiero ci ha reso avvezzi a credere sinonimi di artistico e geniale. Eppure, basterebbe studiare la vita di molti grandi geni o artisti del tempo andato per scoprire che, spesso, ciò che è divenuta una moda moderna di ostentata stravaganza, non sempre si è coniugata con la migliore creatività. Pietro Mascagni, ad esempio, pur essendo stato un innovatore, spesso musicalmente “sopra le righe”, era un uomo di una precisione estrema, come suggeriscono i suoi taccuini che, grazie alla gentile concessione della nipote Maria Teresa Mascagni, abbiamo potuto consultare.
In questi quaderni sono ordinatamente registrati incassi, spese ed esibizioni. Oltre ad essere una importante testimonianza sulla qualità del metodo in una mente colma d’estro e fantasia, traggono la figura del Maestro da un grave impaccio: quello vago e nebuloso secondo cui egli avrebbe fatto fortuna grazie al fascismo. Si evince, al contrario, che gli anni economicamente più proficui furono quelli dal 1890 al 1910, ancora lontani dall’epoca fascista. Mascagni ricevette effettivamente un finanziamento da Mussolini per il “Carro di Tespi”, un progetto ideato dal compositore stesso insieme al librettista Giovacchino Forzano per produzioni itineranti nei comuni italiani sprovvisti di un teatro. L’uso che fece di quel denaro fu volto perciò alla realizzazione di un’operazione dall’impronta decisamente democratizzante, indirizzata all’educazione artistica delle classi meno abbienti.
La proteiforme produzione del compositore livornese spazia tentacolarmente in ogni abisso insondato ed esplora sicure terre vergini: basti pensare che la sua opera simbolista Iris, la prima ad argomento giapponese, è infatti di sei anni antecedente alla celeberrima Madama Butterfly del Maestro Puccini. Nel repertorio mascagnano si trova una sintesi perfetta tra avvenire e trascorso, dalla rivisitazione di Lady Godiva in Isabeau, che ritorna al romanticismo, a Rapsodia Satanica, la prima colonna sonora di un film muto; ancora in tensione verso l’inesplorato e vario, musicò Parisina, che il Vate tradusse da Byron in libretto d’opera, ed ancora nel Guglielmo Ratcliff e Nerone, per citarne solo alcune.
Tuttavia, parte della critica musicale ha rimproverato il Nostro di non aver prodotto altre grandi opere veriste all’infuori della Cavalleria Rusticana. Spesso, infatti, satolli della propria conoscenza, non si è più capaci di distinguere l’altrui insazietà: Mascagni era, appunto, mai sazio ed in perpetua sfida con sé stesso. Se le opere successive alla Cavalleria non brillarono di luce verista è, semplicemente, perché non era al Verismo ch’egli aveva giurato fedeltà, quanto, piuttosto, al dotto esperimento musicale.
Inoltre, se purtroppo il Maestro è stato spesso vittima di ostracismo dopo la sua dipartita, l’imitazione delle sue opere ha indirettamente confermato la grandezza della sua arte; i suoi brani sono stati, infatti, ripresi in diverse colonne sonore fino all’incredibile plagio de Il sogno di Ratcliff (Intermezzo dall’Opera Ratcliff) ripreso per diverse battute da Harold Arlen nella canzone Over the Rainbow del 1939 scritta all’interno della colonna sonora per Il mago di Oz. La sua musica è stata presa come colonna sonora di film cult come Toro Scatenato di Martin Scorsese ed Il Padrino – Parte III di F.F. Coppola, o di molti film di Paolo Virzì.
Vasta l’opera artistica, non diversa poteva essere la vita di un personaggio che influì non solamente sulla cultura del periodo, ma anche sulla moda: amava i gemelli ed i panciotti di pregiata fattura, ed il suo modo di portare i capelli ispirò l’acconciatura “alla mascagna”. Ci troviamo, insomma, a dover ridimensionare il nostro concetto di influencer: quello che oggi è uno strimpellatore o una povera manichina senz’arte né parte, era ieri un dandy del calibro di Mascagni e l’alloro mondano si posava sulle solide tempie del talento.