Di Alessandro P.
Il saggio del professor Spencer Di Scala, che aveva già curato per le edizioni Laterza un buon volume collettaneo sul periodo pre-fascista di Mussolini, è sicuramente molto utile al dibattito mondiale, continuo e quotidiano, sul fascismo. I grandi storici del fascismo, Nolte, De Felice, Gregor, provenivano dalla tradizione ideologica marxista e ciò era intuibile dai loro pur importantissimi studi; anche Di Scala proviene dalla medesima ideologia socialista, ma la sua prassi di ricerca fornisce dei punti di osservazione nuovi e originali al dibattito essendo più politologica e meno empirica o fattualistica.
Di Scala parla di Mussolini come dell’uomo del ‘900, dell’uomo che fece il fascismo, perché il politico romagnolo sarebbe stato l’unico, nel cuore dell’Occidente, a saper maneggiare e concretizzare l’eredità politica sociale ottocentesca del nazionalpopulismo occidentale (jacksonismo statunitense) e di quello russo slavo (narodniks). Per Di Scala, l’eterna sconfitta della sinistra radicale internazionalista e globalista (nella quale lui pienamente si riconosce) di fronte alla creazione pragmatica e realista di Mussolini sarebbe dovuta soprattutto al fatto che le élite gramsciane o neoleniniste di sinistra, egemoni sul piano culturale in Occidente, abbiano veramente creduto alla realtà politica di una mera formula propagandistica di guerra come quella del “nazifascismo” che non ha mai avuto realtà storico-politica effettiva1: mentre ha avuto e avrebbe realtà la coordinata mussoliniana del populismo di destra, che non ha contatti con il nazismo tedesco.
Le “idee universali” all’origine del fascismo2 sarebbero quelle del nazionalpopulismo ottocentesco (e questo lo comprese anche Gramsci quando sostenne che i veri fascisti russi sarebbero stati i “social-rivoluzionari” di destra e non le armate bianche zariste come credevano certi bolscevichi, anche se il concetto gramsciano di fascismo come rivoluzione passiva era probabilmente errato, dato che il fascismo fu una vera e propria controegemonia attiva) che poi, dopo la sconfitta militare, continuerebbero tramite il “populismo di destra” del continente latino-americano ed euromediterraneo prima (non dunque tramite la rivoluzione iraniana del ’79, come sosteneva Nolte nell’opera Il Terzo radicalismo), addirittura tramite il movimento controrivoluzionario e antiglobalista statunitense poi.
Proprio in questi giorni l’intellettuale di sinistra Lucia Annunziata ha definito il trumpismo e il movimento controrivoluzionario MAGA una forma politica e sociologica di “peronismo antimperialista americano”. Sia Italia che Argentina sarebbero perciò tuttora dei laboratori politici ben più avanzati e d’avanguardia rispetto agli stessi altri paesi occidentali, USA inclusi. Sicuramente Di Scala ha approfondito il pensiero politico filosofico di Carl Schmitt e ciò sembra emergere nella sua analisi; senza la Rivoluzione Internazionale leninista del ’17, Mussolini non avrebbe potuto proporsi come la guida universale dei vari fronti nazionalpopulisti imponendo lo stato d’emergenza “anti-comunista” ed aprendo una vera e propria guerra civile ideologica mondiale in difesa sociale delle piccole borghesie e delle microproprietà minacciate dalla collettivizzazione forzata internazionale; sempre Schmitt scrisse a tal riguardo un noto saggio, assai importante, sul regime di Mussolini quale “democrazia plebiscitaria e populista” più che come totalitarismo realizzato (e di qui la distanza sia dal nazismo che dal bolscevismo stelle gemelle): tesi che anche Hannah Arendt avrebbe finito per fare propria.
Più debole è viceversa l’analisi di Di Scala sul MSI post-1945, per quanto colga un elemento importante sempre sottovalutato, vedendo nel “meridionalismo populista” almirantiano una forma di peronismo di destra declinata all’italiana. Del tutta errata è invece la proposizione di Evola come filosofo del “neofascismo missino”; gli unici ideologi missini di peso, Laffranco e Niccolai, che si imposero con un ordine del giorno pro-craxiano del MSI durante la crisi di Sigonella3, puntarono viceversa a reintegrare l’ideologia dei vari fronti giovanili o universitari missini all’interno della linea del nazionalismo italiano mediterraneo o ancor più correttamente del nazionapopulismo italiano, al di là del tradizionalismo evoliano.
Molto ponderate sono anche le riflessioni di Scala sulla guerra civile italiana. Pur sostenendo chiaramente ogni variante antifascista prevalente come benefica per il progresso civile, Di Scala non nega affatto eccidi e crimini del fronte antifascista e delle sinistre, senza soffermarsi troppo sulla vicenda e senza specificare se i vinti massacrati e sterminati fossero molti di più dei cinquantamila di cui parlò Togliatti con l’ambasciatore sovietico nell’estate del ’45, o i circa ventimila di cui parlò Pansa nei suoi libri. Piazzale Loreto, aprile ’45, fu dunque il più significativo errore politico e strategico della sinistra rivoluzionaria e radicale nella sua storia, con ciò che ne sarebbe conseguito a vantaggio politico degli appena vinti militarmente; con gli uffici del Viminale costretti di seguito a optare – con lo stesso Scelba – per l’istituzionalizzazione dei fascisti ancora armati che giravano per l’Italia e con il compagno Togliatti costretto a teorizzare, in Assemblea Costituente, il diritto al saluto romano.
1Op.cit., p. 9 e sgg.
2Op. cit., p. 7.
3Cfr P. Ignazi, Il polo escluso, Bologna 1998, p. 242.