Di Ludovica Sveva Sambugar
“L’uomo è per natura destinato a vivere in comunità”, così diceva Aristotele. Più tardi, Marco Tullio Cicerone affermerà: “noi siamo nati per unirci con i nostri simili, per stare in comunità con la razza umana”. Da queste citazioni possiamo facilmente intuire che il concetto di comunità non era affatto estraneo agli antichi (soprattutto in Grecia, nelle poleis).
Comunità significa spendersi per il prossimo, basarsi su un’idea di socialità e non lasciarsi cullare dalle illusioni individualiste. Significa condividere valori, credenze e tradizioni le quali attualmente stanno via via scemando, in particolar modo tra i giovani. La maggior parte di essi vive negando ogni tipo di spiritualità, perdendo il senso del sacro. Vivono di informatica, spesso spendono il loro tempo sui social e osservano, con nefasta ammirazione, statuine da salotto e deprecabili subrette. In un Paese dove poche sono le possibilità di realizzarsi al meglio, i giovani cercano quindi rifugio nell’illusione di vivere una vita che non gli appartiene ma che desiderano.
I miti che però vorrebbero imitare e incarnare, non sono certamente personificazione di valori che hanno a che fare con l’onore, la difesa della Patria o l’eroismo dannunziano. La nostra infatti, non è più una società che combatte, bensì una società che si è piegata al dispotismo dell’individuo che “lotta” solo per sé.
La comunità è legata ai miti. Come inevitabile è il passare del tempo, così è inevitabile passare il testimone da un mito a un altro. I miti sono uomini e donne che hanno segnato la storia per esser definiti tali.
Il mio pensiero fa riferimento al leader e cantante dei Doors, Jim Morrison, che fece parte di quegli anni tanto tormentati e travagliati della gioventù americana degli anni ’60. Egli fu il simbolo delle rivolte giovanili attraverso la sua musica e il suo fare stravagante, la dipendenza da droghe e la lotta contro il sistema per una continua ribellione. Vediamo come in quel determinato periodo storico, l’imperfezione lo portò a essere leggenda.
Provando ad accostare il mito di Jim Morrison ai miti dell’antichità, notiamo una lampante differenza che portava la società greca a esaltare gli ideali di guerra, grandezza e perfezione assoluta come si legge nell’Iliade e nell’Odissea. Uomini come Achille, Ettore e Ulisse, dettavano lo standard e l’aspettativa dell’ideale cittadino e guerriero antico; le armi non erano costituite da musica psichedelica e mescalina, ma da spade, frecce e lance.
La società moderna, evocava a gran voce la pace e la fine delle guerre, quella antica, evocava gli dei affinché le vincessero. Ma i miti non sono solo soggetti, ma anche storie che insegnano qualcosa di importante.
Pensando al mito di Narciso, noto delle forti analogie con la perdita del senso di comunità. Siamo soggetti a specchi d’acqua che ci traggono in inganno quotidianamente: i cellulari. Sono la nuova frontiera della socialità, ma ciò che è nuovo non sempre migliora il vecchio. Difatti, la realtà dei social rende ognuno di noi Narciso: essendo troppo impegnati a osservare la nostra figura, essendo troppo assorti nella vita dei moderni miti, essendo influenzati dall’opinione altrui, accade che dimentichiamo la nostra vita e ci immergiamo nel riflesso ingannevole, perdendoci tragicamente in esso.
Il fatto è che l’individuo ti rende massa, mentre la comunità è dialogo, confronto e condivisione.
Nel 1887, Ferdinand Tönnies scrive l’opera “Comunità e società”. Nel testo, il sociologo tedesco, darà una chiara definizione di comunità, di società, e cosa distingue l’una dall’altra. Secondo Tönnies, la comunità è un rapporto sentito dai partecipanti, fondato su una convivenza durevole, intima ed esclusiva. La comunità è quindi organica: composta da rapporti fondati sulla riconoscenza, sulla condivisione di linguaggi, abitudini, significati, spazi, ricordi ed esperienze comuni. I vincoli di sangue (famiglia e parentela), luogo e spirito (amicizia) costituiscono le comunità, in cui gli uomini si sentono uniti in modo permanente da fattori che li rendono simili l’uno all’altro.
Per quanto riguarda la società, cito dal suddetto testo:
“La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità essi restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono“.
Quindi, nella società gli individui vivono per conto loro, separati, in un rapporto di tensione con gli altri e ogni tentativo di entrare nella loro sfera privata viene percepito come un atto ostile di intrusione. Vi è rapporto solo in presenza di scambio e non si vuole indietro nulla che conti meno di ciò che si è dato; anzi, lo scambio consiste proprio nel ricevere qualcosa che valga di più rispetto a ciò che è stato ceduto. La società è dunque una costruzione artificiale e convenzionale, composta da individui separati, ognuno dei quali persegue il proprio interesse individuale.
Da sempre la religione ha avuto l’onere di unire quante più persone possibili sotto un’unica speme e sotto eguali dogmi. Questo rendeva comunità, poiché le persone potevano condividere la stessa esperienza religiosa e gli stessi rituali.
Ora la religione è vista come un fattore che è utile solo alla divisione e non all’unione. Non vi è più ormai quella presenza della spiritualità che si avvertiva in precedenza, già, in tempi non sospetti, nell’antichità. Ci troviamo forse a inciampare su quello che Weber definì “razionalizzazione”? Weber cerca di interpretare il cambiamento della società occidentale moderna attraverso il concetto chiave di “razionalizzazione” cioè il progressivo affermarsi della consapevolezza che tutto può essere dominato dalla ragione.
Il processo di razionalizzazione ha cambiato profondamente l’esistenza umana, arrivando ad un’organizzazione della vita sociale basata su criteri di efficienza e razionalità: la prima, si può tradurre con la nascita della burocrazia, la seconda con lo sviluppo della scienza e della tecnologia. La razionalizzazione va di pari passo con il “disincanto” del mondo: quindi, il venir meno degli aspetti magici e religiosi della vita. La realtà è quindi un complesso di dati razionalmente comprensibili e tecnicamente manipolabili e per l’uomo moderno i limiti della sua comprensione saranno prima o poi superati dal progresso della conoscenza.
Negli anni ‘30, Orwell si trovava a casa dei suoi genitori, dove scrisse il libro “la figlia del reverendo” dal quale cito la frase:
< […] Ho sempre pensato che si potrebbe fare un sacco di soldi dando inizio ad una nuova religione> La tecnologia, i social e i mezzi coi quali si accede ad essi, non sono forse una fonte di grande guadagno?
Questo per quanto riguarda il frammento di frase relativo al denaro; ma se ci fosse una nuova religione?
E se il sogno di Comte si stesse pian piano insinuando inconsapevolmente all’interno di questa società quasi priva di spiritualità?
Comte nella sua opera “Corso di filosofia positiva” enuncia la “legge dei tre stadi” per arrivare all’affermazione dello spirito scientifico positivo:
- Stadio teologico, dove si crede in entità divine
- Stadio metafisico, dove si crede in entità astratte
- Stadio positivo, in cui i fenomeni naturali e sociali sono analizzabili tramite il metodo scientifico (Comte ritiene che è l’unico metodo che può essere applicabile e nella scienza e nei fenomeni storico-politici e sociali).
L’interessante però arriva ora: Comte desidera un dominio intellettuale e sociale della scienza e con questo unire il genere umano attraverso dei valori condivisi (come la religione). Verso la fine della sua vita, il sociologo pensa ad una religione laica in cui l’umanità costituisce il nuovo essere supremo, dove vi sono templi, sacerdoti e riti interamente ispirati al culto della scienza e dello spirito positivo.
La tecnologia e la scienza sono delle risorse importantissime ed estremamente utili; allo stesso modo però, vorrei che si ritrovasse anche il senso della comunità, il suo significato trascendentale ed altamente umano. Comunità vuol dire forza e resistenza, significa essere uniti non essendo massa, ma essendo uomini e donne pensanti, capaci di scindere la “realtà virtuale” dalla vita vera e dal mondo che dovremmo migliorare; significa essere umani e non macchine.
Significa essere creatori di macchine e dominarle e non essere dominati da esse.