Di: Francesco Subiaco
L’imperatore d’Atlantide o il rifiuto della morte
La verità è ciò che rimane quando svanisce tutto quello che vi è attorno. Proprio quando tutte le nebbie degli anni quaranta e della guerra mondiale sono spariti è emersa anche la verità su Terezin. Terezin è una cittadina della repubblica ceca, poco lontana da Praga, cosparsa un tempo da malandate caserme militari, dal gelo e dalla solitudine di una città fortezza in rovina. Essa però è stata anche la città che ha ospitato un lager terribile ed anomalo durante l’occupazione nazista. Un lager spacciato per residenza turistica per ebrei, per montagna incantata, quando era invece un mattatoio di lusso. Un luogo in cui venivano spediti
artisti, militari in congedo, ex funzionari, ebrei o diversi, rinchiusi in questa fortezza gelida che venia spacciata per rifugio quando era essenzialmente un campo di concentramento. Un campo delle menzogne
in cui a questi detenuti speciali, dopo il lavoro estremo e crudele praticato durante tutta la giornata, le ss concedevano palchi e teatri provvisori e fatiscenti per fare arte e musica, spettacoli e intrattenimento. A metà tra il teatro degli orrori e un orrore teatrale, in cui alla crudezza della morte e della malattia si alternava la dolcezza delle musiche e delle opere dei detenuti del campo. un lager che divenne la cornice terribile per un truman show nazista, quando portati dentro i delegati della croce rossa e della comunità internazionale, esso divenne la grande messa in scena della bontà nazista. Il campo attrezzato come un teatro venne spacciato, tramite una recita perfetta, per una specie di Israele ante litteram, di Kallipolis della
comunità ebraica protetta dalla dura e nascosta repressione del governo nazista. Una repressione che tramite spettacoli e menzogne riuscì a nascondere l’orrore dei lager fino agli ultimi anni della guerra. ultimi
anni in cui i detenuti di questo ghetto anomalo vennero divorati dai gas delle docce naziste. Tra i tanti prigionieri alcuni riuscirono a ribellarsi in una maniera diversa, come racconta Enrico Pastore nelle pagine di
“l’imperatore di Atlantide”(MIRAGGI edizioni). Raccontando la storia del musicista Viktor Ullman e Petr Kien, che nella lunga programmazione degli spettacoli, clandestini e non, realizzarono un’opera d’arte tra le più interessanti degli anni quaranta: “L’imperatore d’Atlantide o il rifiuto della morte”. L’opera si apre in un imprecisato regno di Atlantide, allegoria del ghetto sotto il dominio nazista, dove rinchiusi in un sanatorio prigione La morte, vestito come un colonnello asburgico, ed Arlecchino , simbolo della vita oppressa e resa sterile dal campo, decidono di ribellarsi, stanchi e infuriati, alle leggi del kaiser Overall, che grazie alle prodezze della tecnica, sta devastando il mondo con una guerra sanguinosa che porta milioni di morti e toglie le forze vitali ai popoli. La morte vedendo il ribaltamento delle leggi naturali decide di scioperare e rifiutarsi di far morire gli esseri umani. Occasione che viene sfruttata da Overall per utilizzare l’immortalità
dei suoi soldati per conquistare il mondo. I piani dell’imperatore hanno, però, vita breve perché durante lo scontro i soldati privati del timore della morte, iniziano a cessare il fuoco, seguendo le danze macabre di
scheletri fantasmi di Arlecchino che li aiuta a disertare la loro guerra. il kaiser confrontandosi con la morte, che lo visita nel suo castello, viene costretto a morire per primo, sprofondando nelle acque della morte come Atlantide sprofonda in quelle dell’oceano. L’opera si presenta come la grande allegoria della fine del nazismo, che faustianamente, ha permesso agli atlantidei di conquistare il mondo, ribaltando le leggi dell’uomo e della natura, peccando di hybris che porterà l’imperatore(Hitler) e i suoi collaboratori-automi, il tamburo(Goebbels), la propaganda, e l’altoparlante(i gerarchi dei campi), l’oppressioni, a sprofondare nelle
acque della morte. Contrapponendo all’atlantide iperborea e di cartapesta propagandata, quella platonica, irrazionale e feroce, decadente e prigioniera degli abissi del tempo. Un grande mito, che tra le maschere e
le ombre dei tarocchi, racconta la disfatta della superbia umana, della tecnica, del culto della morte annientante asservita ai desideri umani e il grido di speranza o liberazioni di due grandi artisti, rappresentanti un mondo di ieri, cancellato e rinnegato, di dimostrare che i manoscritti non bruciano e la grande arte sconfigge sempre l’inclemenza dei tempi.