IL FUTURO È QUI
IL FUTURO È QUI

IL FUTURO È QUI

Di: Marcello Giovanni Lezzi

Il futuro è oggiè un racconto distopico, forse non troppo.

È finalmente sera, le tue gambe stanche e pesanti ti portano da sole fin davanti alla porta del tuo squallido monolocale al 4° piano di un palazzo con l’ascensore rotto da quando hai memoria, infili rapidamente la chiave nella toppa, apri la porta e ti lanci dentro. Sbatti la porta alle tue spalle. Prima che i tuoi occhi si abituino al buio il tuo naso percepisce l’odore di casa, sudore e umido che stagna nell’aria. La tua mano corre lungo il muro a cercare l’interruttore, macchiato dall’usura, per accendere la luce. Mentre i neon si caricano getti i tuoi vestiti sulla sedia marcia che troneggia al centro della stanza e ti afflosci stanco sul materasso buttato vicino alla finestra che dà sulla strada dalla quale filtrano le luci scarlatte delle insegne a neon, sentinelle vigili della notte non più buia da eoni. Prendi in mano il tuo smartphone (certo, hai le pezze al culo ma non puoi non averlo) e ordini all’assistente vocale di impostare la sveglia per il giorno dopo. Posi il cellulare per terra, accanto al materasso, e sistemi il cuscino che non è altro che una federa riempita di biancheria sporca. Prendi una scarpa in mano e la scagli verso l’interruttore per spegnere il neon che sta violentando le tue retine, il tiro fallisce ma sei troppo stanco e gli occhi ti si chiudono senza avere il tuo permesso. Apri gli occhi al suono della sveglia, l’assistente vocale ti saluta e ti augura una buona giornata mentre ti fa un quadro sulle condizioni meteorologiche della tua città. Non lo ascolti. Ti vesti. Prendi il cellulare. Esci. Mentre scendi le scale del palazzo non incontri nessuno, non ne hai nemmeno voglia. Noti tra i poster affissi sui muri delle scale il disegno di una donna con un respiratore, una scritta mezza strappata recita “…il perfezionamento dell’uomo!”. L’ingresso del palazzo è vuoto, gli schermi dei computer nella portineria lampeggiano illuminando il profilo rugoso e il volto spento del portiere. Dall’angolo della sua bocca scende un torrente di bava. I suoi occhi sono vitrei, dello stesso colore che lampeggia sullo schermo dei computer. Dietro la sua scrivania un tappeto di lattine vuote e carte di cibo da fast-food ancora sporche e incrostate di salse. Non ti rivolge neanche un cenno di saluto, passi ricambiando la cortesia. Sei sulla metropolitana che ti porterà vicino al tuo posto di lavoro. È piena di gente ma nessuno parla con il pendolare che gli siede accanto, tutti sono curvi a guardare, toccare o parlare allo schermo tascabile che hanno fra le mani. I rari sorrisi di questo popolo nomade della mattina rivela denti storti o marci. Un poster affisso ad un finestrino mostra una donna che indossa un visore per la realtà virtuale, recita “Il futuro è adesso!”. Il vagone è illuminato da un neon viola che corre lungo il soffitto della carrozza e dal blu che esce dai piccoli schermi dei cellulari. Scendi alla tua fermata e prosegui a piedi. Lungo i marciapiedi le persone viaggiano in maniera meccanica verso la loro meta. Tutti persi. Tutti sanno esattamente dove devono andare, ma non sanno dove sono. Tutti hanno cavi che spuntano dalle tasche dei pantaloni e affondano fra i capelli e nelle orecchie. In un vicolo un gruppo di uomini vestiti di stracci si contende violentemente un visore. Poco più avanti un ragazzo è disteso per terra, il volto riverso per terra in una pozza di vomito, gli occhi coperti da un visore, un cavo infilato nel braccio color cancrena. Prima c’era differenza tra centro e periferia, adesso è tutta periferia e il centro è composto da cinque o sei palazzi scintillanti. Appoggiato ad un muro, un uomo con una lunga barba fissa il vuoto. Il suo braccio sinistro è un impianto meccanico saldato su di un moncherino, ha una mostrina attaccata ad un pezzo di tessuto che pende dalla spalla. Un poster sul muro mostra un bicipite incredibilmente pompato, scintillante. Una scritta recita “AGGIORNATI!”. Sulla stessa strada, qualche decina di metri più in su, tre cyber-poliziotti sono impegnati a cercare l’anima di due ragazzi usando due tubi di ferro sporchi di sangue e olio. Stavano appendendo dei poster contro ESSA (Entità Superiore Superpensante Artificiale). Lei è la governatrice della città, o del mondo, per quanto ne sai. La stampa non è libera. Un’unità computerizzata che elabora i piani di produzione, i piani di ricerca, i piani di assistenza sociale ai veterani di guerra, le strategie di guerra e gli ordini. È l’unica autorizzata a pensare. È l’unica autorizzata ad autorizzare. I cyber-poliziotti sono connessi a lei direttamente dal cervello, sono umani aggiornati quasi totalmente. È impossibile distruggerla, le vie della città sono i suoi nervi, le telecamere sparse ovunque sono i suoi occhi. Pensare è vietato. Essere pensati è pericoloso. ESSA intercetta, individua e neutralizza ogni idea anche lontanamente sovversiva. E così tu sei costretto in un limbo fatto di un ciclo infinito: produci, consuma, crepa. Umani ridotti a macchine che eseguono senza pensare e macchine che pensano e impediscono di pensare. In fondo te la sei cercata, hai dato per buono tutto quello che leggevi sulla rete, hai iniziato ad affidarle ogni tipo di pensiero, hai detto al tuo cellulare di ricordarti dei tuoi programmi e del tuo tempo e poi hai smesso di pensare con la tua testa. Quello che ti resta adesso è solo il punto di vista.