Di: Carola del Giudice
Le due facce della medaglia
Nel 1969 – partendo dalle idee di J.C.R. Licklider e Bob Taylor – nasce Arpanet, una rete di computer studiata e realizzata per scopi militari. Esaurito il fine per cui era stata pensata, nel 1983 divenne una rete esclusivamente dedicata alla ricerca: è il trampolino di lancio di Internet e, dal 1989, del World Wide Web (traducibile come “rete di ampiezza mondiale”). Ad oggi, sono circa 4,66 miliardi le persone connesse ad Internet – probabilmente in costante aumento. Si tratta senz’altro di una grande risorsa, che ci consente – tra le altre cose – di rimanere sempre aggiornati su ciò che accade intorno a noi. Si può parlare di una vera e propria rivoluzione digitale, così delineata da Tonino Cantelmi: “La rivoluzione digitale è tale perché la tecnologia è divenuta un ambiente da abitare, una estensione della mente umana, un mondo che si intreccia con il mondo reale e che determina vere e proprie ristrutturazioni cognitive, emotive e sociali dell’esperienza, capace di rideterminare la costruzione dell’identità e delle relazioni, nonché il vissuto dell’esperire”. Lo psicologo russo Lev Vygotsky (1896 – 1934) parlava di mediatori simbolici o culturali, intesi come “strumenti di produzione intellettuale” utili sia a livello interpersonale che intrapersonale. Nel primo caso, essi regolano le attività sociali, le interazioni, gli scambi; a livello intrapersonale, una volta interiorizzati, guidano il pensiero ed il comportamento del singolo. Si può certamente affermare, dunque, che Internet sia un buon esempio contemporaneo di mediazione culturale – poichè consente l’accesso ad un numero sterminato di informazioni, oltre ad essere un efficiente mezzo di comunicazione ed interrelazione. A proposito del primo aspetto, la psicologia cognitiva rileva come smartphone e computer siano sempre più intesi in un’ottica di “mente estesa”. Una ricerca di Sparrow, Liu e Wegner dimostra che, a delle affermazioni con cui bisogna rispondere “vero” o “falso”, gli utilizzatori sistematici di Google sono più lenti nel rispondere. Ciò accade perchè – e qui viene l’aspetto deleterio – alcuni tendono a non memorizzare ciò che si può trovare facilmente in questa “memoria esterna”. Questo ricalca, in una certa misura, la critica che Socrate e Platone muovevano alla scrittura – convinti che ciò che veniva scritto non venisse poi memorizzato, perchè consultabile al bisogno. Da qui si evince che Internet deve essere inteso come fonte, ma mai come sostituto dell’apprendimento; il primo uso è positivo, il secondo lo è certamente meno. Bisogna inoltre essere attenti nel selezionare le fonti, dato che non tutte sono parimenti attendibili: in caso contrario, si può incorrere nella disinformazione e addirittura nella frode. È importante poi non cadere nella tendenza del bias di conferma, che può portare – durante la ricerca di informazioni – a dar credito soltanto a quelle che si accordano con la propria idea di partenza. Un discorso analogo a quello affrontato precedentemente (web come risorsa e non sostituto) può essere esteso alle relazioni sociali. La rete rappresenta, come già visto, un grande mezzo di comunicazione. Essa consente di rimanere in contatto con persone che si trovano anche a migliaia di chilometri di distanza tramite chat, chiamate e videochiamate. Ad esempio, la pandemia che stiamo vivendo da più di un anno a questa parte, ha reso necessarie misure adattative quali la didattica a distanza e lo smartworking. Si tratta di elementi già presenti in passato, come nel caso delle università telematiche, ma che in questo periodo hanno innegabilmente subito un forte impulso. Al di là della pandemia, un fenomeno importante è quello dei social network: secondo le statistiche del 2020, sono circa 2,60 miliardi gli utenti attivi mensilmente su Facebook e 1,73 miliardi quelli attivi quotidianamente. Prima di Facebook, attualmente il social più gettonato, esistevano già diversi siti simili come Myspace, Friendster o SixDegrees, (quest’ultimo ispirato alla teoria secondo cui ognuno di noi sarebbe collegato ad un’altra persona tramite sei gradi di separazione, ossia sei conoscenti). Anche i social, nei loro molteplici utilizzi, presentano questa duplice valenza. Essi possono essere un potente strumento di divulgazione, come dimostrano le numerose pagine e i gruppi – nonché i siti – a tema culturale. Inoltre, come già sottolineato, possono essere un supporto alle relazioni sociali – purchè non finiscano col sostituire integralmente il contatto umano diretto, ma si limitino a fiancheggiarlo. A quest’ultima precisazione è strettamente connesso il fenomeno degli hikikomori (letteralmente “stare in disparte”, “staccarsi”). Hikikomori – termine che si riferisce sia al fenomeno sociale in generale, sia al soggetto – è una persona che sceglie di scappare fisicamente dalla vita sociale, al fine di chiudersi in un isolamento, in una campana di vetro – vedendo la vita che gli scorre intorno, senza però prenderne parte. Essi si concentrano solitamente sui videogiochi, che vengono – nella loro ottica – a costituire un’alternativa sociale. Similmente, un’altra conseguenza negativa può essere la dipendenza da Internet, caratterizzata dal bisogno di trascorrere in rete un tempo sempre maggiore. Ne deriva una riduzione dell’interesse per ogni altra attività (come fare una passeggiata o leggere un buon libro), ma soprattutto problemi di ordine: sociale, ossia l’impoverimento delle relazioni interpersonali; psicologico, come l’incapacità di disconnettersi, i forti stati d’ansia e la tendenza a sostituire il mondo reale con un luogo virtuale; fisico, come l’insonnia, i problemi alla vista e la mancanza di attività fisica. Ad ogni modo, bisogna sottolineare che è l’uso (o l’abuso) a fare la differenza. Di per sé, Internet è uno strumento che diventa positivo o negativo in relazione a come ognuno di noi sceglie di servirsene. Occorre dunque approcciarsi a questo mezzo in maniera responsabile, costruttiva, critica e consapevole, facendo sì che esso sia un’opportunità di arricchimento e non – al contrario – una potenziale minaccia all’equilibrio psicofisico della persona.