Di: Franz Trinchera
I° parte:
L’ESSENZA TOTALIZZANTE DELLO STUPOR MUNDI
Approcciarsi a Federico II di Svevia richiede un impegno non indifferente, il rischio di banalizzare è alto tanto quanto lo è quello di romanticizzare, tale destino “postumo” è comune a tutti quegli uomini che si sono eretti nella Storia come facitori della stessa.
Non si esagererebbe a dire che Federico II non è stato secondo a nessuno, e che nessuno meglio di lui seppe riafferrare in mano la spada e la corona di Alessandro il Macedone e del Divo Augusto, questo perché Federico II ha rappresentato nella sua vita l’essenza più alta del concetto di totalità, nella sua unica figura sono convissuti gli antipodi più estremi all’interno di una configurazione armonica.
È vissuto in lui il passato romano, tanto quanto il presente medievale ed il futuro rinascimentale, è vissuta in lui tanto l’umanità quanto la divinità, tanto lo spirito mediterraneo quanto quello germanico, la virtù intellettuale tanto quanto quella guerriera. Stare qui ad elencare la storia ed i primati del “Puer Apuliae” divenuto poi “Stupor Mundi” sarebbe sforzo vano e superfluo, vista l’esistenza di tomi che lo fanno in modo ben più eccellente, è il caso del “Federico II Imperatore” di Ernst Kantorowicz, semmai si tenterà di descrivere ed analizzare, nella semplicità e fluidità che un articolo deve pretendere, la configurazione del totalizzante così come espressa nella figura del più grande degli Svevi.
Mai in nessun uomo seppero convivere così armoniosamente le tre fasi temporali e mai in nessun uomo esse seppero tramutarsi in fiamma ardente capace di plasmare ed indirizzare, se non direttamente generare, il corso della storia. In Federico II sussiste un nettissimo richiamo al passato, il passato romano imperiale configurato intorno alle personalità di Augusto e di Giustiniano, a cui Federico aggiunse il proprio nome nella formazione della triade romana definitiva. Cosa legò Federico a Giustiniano? Il connubio indissolubile e particolare tra Stato e Chiesa in cui l’Imperatore ha il dovere di difendere, proteggere e tutelare l’ortodossia di questa in quanto necessità intrinseca al consolidamento dello Stato, il Codice Legislativo voluto da Federico II, si apriva, al pari di quello Giustinianeo con un attacco all’eresia: “Dal Re dei Re e dal Principe dei Principi questo principalmente si esige dalle mani del sovrano, che esse non permettano che la santissima chiesa romana […] sia macchiata dalle segrete perfidie di chi distorce la fede; e che la proteggano, con l’ausilio della spada secolare, dagli assalti dei nemici dello stato”, si deve però notare l’immediatezza del messaggio “sottinteso” del Codice, questo e solo questo, deve essere il rapporto intercorrente tra le due entità, ed è un rapporto tutto a favore dello Stato, in quanto dimostrante come la Chiesa senza Impero sia indifesa. Ed ecco come il legame con la Roma di Giustiniano ricompare modificandosi ed adattandosi alla realtà voluta dallo Svevo, ripetendosi ma sotto una nuova luce, irradiante non più l’agnello di Dio ma la Spada secolare posta sua difesa. Ma ancor più forte fu il legame con Augusto, anch’esso focalizzato dalla lente cristiana rivolta al rafforzamento imperiale, Federico cercò di dimostrare in ogni modo l’effettività di quella profezia diffusissima nel Medioevo e condivisa dalla quasi totalità del mondo cristiano, che voleva la fine dei tempi perfettamente coincidente con il ritorno dei tempi del Cristo sulla terra, in un “eterno” ritorno dove l’anno dell’omega non differisse nel suo status quo dall’anno dell’alfa. La riproposizione federiciana dell’epoca di Augusto, appunto epoca dell’alfa, poiché coeva a quella del Cristo (Augusto regnò dal 27 a.C. al 14 d.C.), ebbe il suo fondamento nella già citata opera legislativa di stesura della Costituzione di Melfi del 1231, contenuta in quello che Federico intitolò, per l’appunto, Liber Augustalis. La Legge non era semplice affare “giurisprudenziale” ma era affare sacro e divino, un magistero sacerdotale per quanto “laico”, il giudice agiva da vero e proprio ministro della Fede, la parola dell’Imperatore era sacra in quanto diretta volontà di Dio alla cui difesa la spada dell’Imperatore era preposta, non a caso la costituzione prevedeva che ogni forma di offesa rivolta all’Imperatore ed ai suoi ufficiali fosse punita come blasfemia, perché Dio stesso era rappresentato in terra dall’Imperatore, offendere questi era offendere la stessa volontà divina, ecco che il corpo di Federico vive delle due dicotomie in lui totalizzate e totalizzanti, quella divina-sacrale e quella umano-politica. E sia chiaro, non erano queste istanze da assolutismo francese, atte a sviluppare un culto della personalità egoistico fine a sé stesso, quello che Federico II viveva era un servigio reso all’Impero, entità unica, assoluta ed organica, realizzazione terrestre della controparte divina del regno dei cieli. Ed è qui che si instaurava ancora più fortemente il legame tra Chiesa e Impero dove la Chiesa aveva le mani legate, come poteva essa attaccare colui che meglio di chiunque altro l’avrebbe potuta difendere, di colui che era emanazione della volontà celeste, di colui che aveva unificato nella sua sacra corona il Regno degli uomini e quello degli angeli. Federico stesso appariva ai suoi contemporanei come il terzo cardine mancante dopo i primi due corrispondenti ad Adamo e Cristo, ed ecco dunque come le due trinità, quella secolare (Augusto, Giustiniano, Federico) e quella temporale (Adamo, Cristo, Federico) avessero nello Svevo il punto di unione.
Se questi richiami continui al passato romano, ma genialmente contestualizzati al presente medievale ben rappresentano due delle tre fasi temporali, non v’è dubbio che quella inerente al futuro trovasse suo fondamento nell’anticipazione del Rinascimento. Federico II fu si imperatore medievale, fu si “postumamente” imperatore romano (Federico II era imperatore del Sacro Romano Impero ma in questo caso ci rivolgiamo con un’accezione classicistica dell’epoca dei cesari), ma fu anche “anticipatamente” signore rinascimentale. Sotto Federico quel senso continuo di ricerca, scienza, fame assoluta di sapere, intreccio ed incrocio di culture, religioni e filosofie, emblema del Rinascimento, ebbe un culmine sino ad allora impensabile. Lo Svevo viaggiò in lungo e in largo, volle conoscere tutto e ancor di più, da quelle scuole ellenica e romana già bene affermate sino alle tradizioni e leggende di quelle misteriose e fantastiche terre d’India raggiunte millenni prima dal Macedone, strinse rapporti intimissimi con sultani e califfi che riuscì a conquistare non con la forza delle armi ma con la forza della filosofia, facendoseli amici ed alleati nelle lunghe diatribe filosofiche incentrate dalle più piccole curiosità (alla corte dello Svevo ci si chiese di tutto, anche quale fosse il peso degli angeli, e si provò a dimostrarlo empiricamente) ai massimi sistemi filosofici, diatribe che fecero nascere un profondissimo legame tra i cultori di Maometto e il figlio delle Puglie (si dice che quando Federico partì dalla terra santa, le donne musulmane strinsero un fazzoletto nero al braccio in segno di lutto). Federico parlava perfettamente il latino, il siciliano, il greco, il francese, il tedesco, l’arabo e l’ebraico, aveva letto ogni tipo di libri, conosceva a menadito tanto Avicenna quanto Aristotele, tanto Platone quanto Averroè. Iniziò ad importare in Europa dall’Asia, dal Maghreb e dal Medio Oriente astrologi e matematici (quest’ultimi novità assoluta), oltre che botanici, zoologi, filosofi, giuristi, alchimisti. Fondò l’Università di Napoli, fucina di tutto il sapere dell’epoca, si circondò di cattolici, ortodossi, musulmani, ebrei, sino ad entrare in contatto addirittura con misteriosi dignitari proveniente dall’al di là degli Urali o con gli stessi Assassini siriani al servizio del Vecchio della Montagna. Sui rapporti con l’Islam è interessante citare la questione inerente i saraceni di Sicilia, questi vennero messi di fronte ad un ultimatum, o fedeltà imperiale o morte, coloro che scelsero di servire Federico vennero portati nelle Puglie (per evitare che potessero creare prima o poi disordini in Trinacria), a Lucera, dove venne creato un centro urbano solo a loro dedicato, dove essi ebbero subito da lavorare, pregare e vivere in libertà, sino a divenire da sudditi d’occorrenza veri e propri fedelissimi dell’Imperatore. Federico si circondò delle maggiori menti dell’epoca, e le volle tutte in posti strategici dell’immensa macchina imperiale, suo braccio destro fu quel Pier delle Vigne, tra i massimi dotti di ogni epoca, maestro assoluto e fondatore dell’Ars Dictandi, nato umile, costretto a mendicare per pagarsi gli studi, ma che notato dallo Svevo non tardò ad essere cooptato prima notaio e poi Giudice Supremo dell’Impero. Ma non solo il capuano delle Vigne, tra gli altri illustri di cui Federico si circondò bisogna citare anche Ermanno da Salza, Taddeo da Sessa, Elia da Cortona e Corrado III di Scharfenberg. L’Impero intero inoltre fiorì in architettura grazie alla fondazione e costruzione di borghi, fortezze e castelli ispirati da un nuovo stile tutto federiciano di cui il massimo emblema è Castel del Monte di Andria, blocco quasi monolitico di liscissima pietra bianca, mura ottagonali intervallate da otto torri anche esse ottagonali (Federico trasse ispirazione dalla Cupola della Roccia di Gerusalemme, luogo santo dell’Islam, anch’essa di forma ottagonale). Ma Federico II non fu solo uomo di cultura e d’arte, d’architettura e di filosofia, fu anche uomo temprato nel corpo, nonostante non dimostrasse nel fisico quella nerborutezza teutonica di suo nonno il Barbarossa. Eccellente cavallerizzo, fu ancor di più eccellente cacciatore. Nulla amò al mondo più della caccia col falco. Ne fu massimo esperto ed interprete, non perse mai occasione per cimentarsi in tal nobile sport (pare lo praticasse anche durante l’intervalli tra una battaglia campale ed un’altra), arrivò a scrivere un vero e proprio compendio di tale disciplina, a cui aggiunse diverse e dettagliatissime tavole a colori, da lui stesso realizzate che sono tuttora di grandissima attualità ed utilità nel campo dell’ornitologia.
Se ora sono state analizzate le tre totalità conviventi nell’animo del Federico (la convivenza di Divino ed Umano, quella di tre epoche differenti e quella dello spirito più intellettuale ed apollineo con quello più venatorio e dionisiaco) sarà bene affrontare l’ultima delle totalità caratterizzanti lo Stupor Mundi, quella che oltre ad essere totale è totalizzante perché tutte le altre comprende, quella del Divi Fridericus Imperator Sacri Romani Imperii, quella che riuscì nella sua figura ad unire lo spirito nordico della Germania e della Lombardia a quello mediterraneo della Sicilia e di Gerusalemme.