In occasione degli eventi organizzati dal Cinema Sala Pegasus pubblichiamo l’intervista rilasciataci dal regista, scrittore e poeta Silvano Agosti. L’autore sarà ospite giovedì 15 novembre nella sala spoletina per la presentazione della sua ultima pellicola Ora e sempre riprendiamoci la vita e per il seminario pomeridiano Dall’impotenza alla creatività.
Quanto è utile oggigiorno ripresentare gli ideali della stagione che va dal 1968 al 1978?
Per questa domanda mi avvalgo delle parole del filosofo Severino, che utilizzo anche nel mio film: “un paese che non ha memoria del proprio passato è un paese fragile, debole e che è più facile da sottomettere e disgregare.” Io mostro le immagini non di un passato, ma di un eterno presente: perché solo quando un paese si ribella è nel suo vero presente.
Quindi la stagione più autentica del nostro paese è quella riconducibile a quegli anni?
Certo, mentre la cultura ed il potere tendono ad enfatizzare il sessantotto, ad impreziosirlo per nascondere i nove anni successivi. L’industria culturale (o la cultura industriale) – che rappresenta la cultura ufficiale del paese – tende a sminuire questi anni e a rendere iconico il sessantotto in sé. Ed è la stessa industria culturale che ha frantumato l’autore promuovendo la troupe. Facciamo un parallelo tra l’amore e la creatività: chiamiamo il migliore baciatore proveniente dall’Olanda, il più bravo massaggiatore che viene dalla Spagna e così via, il rapporto carnale perde della sua essenza anche se il risultato sembrerebbe essere dei migliori. Così sono stati imbrigliati anche i più grandi registi, i quali spesso se ne sono accorti troppo tardi.
È un po’ come una catena di montaggio, però applicata al cinema.
Esatto. Però per fortuna la catena di montaggio non ha più senso perché le macchine sono divenute più brave dell’uomo. Si tratta di vedere cosa accadrà tra venti o trent’anni. Io nel ’70 ho diretto un film, N.P. – Il segreto, in cui ho previsto tutto fino al 2029 (e fino ad ora ci ho preso)!
Dunque la ricerca della carnalità e dell’autenticità per tornare all’essenza di un cinema ormai corrotto dal business.
La vera energia del cinema d’autore è che il regista non rinuncia a nulla. Mentre la disgrazia di ogni regista è che deve rinunciare a tutto. Il cinema purtroppo è asservito all’industria culturale: lo andremo a liberare e allora finalmente il cinema tronerà a vivere, a pulsare.
La libertà è quindi l’elemento essenziale per il raggiungimento della creatività. Ma tutti possono potenzialmente tornare ad essere liberi?
La libertà è il territorio naturale dell’emersione del gioco. Il gioco è il territorio naturale dell’emersione della creatività. Un bambino a cinque anni gioca con i birilli ma se lo lasciassero in pace con la scuola a dodici anni giocherebbe con il cinema, con la letteratura oppure con la musica. La libertà è come l’aria per il corpo umano. Tutti quelli che fanno cinema vivono con una sorta di maschera antigas che dà loro pochissima aria. Una delle cose più subdole dell’industria è che si è inventata per alcuni autori (vedi Fellini, Antonioni ecc.) dei guinzagli lunghi dieci chilometri, per cui questi registi erano convinti di essere liberi ma arrivati a dieci chilometri e un metro hanno sentito qualcosa che li strozzava. Fellini ad esempio si è inferocito e ha reagito facendo La città delle donne (uno dei film più brutti della storia del cinema) facendo spendere trilioni di miliardi alla produzione. Come dice il mio amico Dante, parlando dell’altro mio amico Catone, «libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta», mostrando che il prezzo per la libertà spesso è la vita stessa.